8 su 8. La Roma come la Juve di Capello del 2006, quella del Trap del 1986 e quella dell’inizio del quinquennio bianconero del 1931. Tutte e tre scudettate a fine anno (anche se il tricolore del 2006 sarebbe divenuto il “Jakartone” dell’Inter). Una vittoria, quest’ultima, nobilitata dal valore dell’avversario, il Napoli, ben più accreditato di chances tricolori alla vigilia del campionato.
Una partita molto temuta anche per motivi di ordine pubblico, dati i rapporti non esattamente idilliaci tra le due tifoserie. Per fortuna, tutto è filato liscio. Sul campo, invece, ad andare come un “treno”, per riprendere l’espressione usata dal più illustre dei presenti in tribuna, Maradona, è stata solo la Roma. Una vittoria per 2-0 che, al di là di episodi che hanno determinato il risultato (due legni colti dai partenopei, almeno un’altra occasionissima gettata alle ortiche e un rigore con annessa espulsione molto discutibile), è stata meritata. La Roma ha vinto con la testa, sapendo soffrire quando c’era da farlo ma senza concedere troppo ad un Napoli arrembante ma privo di sufficiente forza d’urto davanti, dipendente com’è dalle giocate in agilità dei suoi pesi piuma, e con la consapevolezza delle grandi squadre nel gestire il possesso del pallone dopo il raddoppio. Una gara molto bella e segnata dal destino. Che ha preso le sembianze di due protagonisti: Paolo Cannavaro e Francesco Totti. Il primo, reo della punizione dell’1-0 giallorosso allo spirare del primo tempo e del rigore molto dubbio che, unito all’espulsione, ha, di fatto, chiuso il match. Il secondo perché con la sua uscita anticipata (risentimento muscolare al flessore della coscia destra, ancora presto per quantificare i giorni di stop) ha dapprima causato un quarto d’ora di sbandamento in una squadra vistasi privata del suo totem e poi ha involontariamente offerto la vetrina più ambita al destro vellutato e potente di Pjanic (sue entrambe le marcature con la perla della punizione tagliagambe che ha fatto saltare gli equilibri e il tutto a coronamento di una settimana da sogno dopo la qualificazione al mondiale della Bosnia) e al subentrante Borriello (suo il duello rusticano in area azzurra costato il rigore al Napoli). Un dipanarsi degli eventi abbastanza bizzarro ma che sottolinea come la squadra di Garcia sappia essere grande anche senza l’ispirazione del proprio capitano. Altro segnale di maturità. E un chiaro messaggio che il destino ha voluto lanciare a tutte le pretendenti allo scudetto: la Roma gioca e vince con la tranquillità e la consapevolezza dei predestinati. La Juve, impegnata domenica nella dura trasferta di Firenze, è avvisata. Anche un pari suonerebbe, a questo punto, come una pericolosa battuta d’arresto. Quanto al Napoli: beh, non ha torto Benitez nel sostenere che la sua squadra non sia stata granchè fortunata ma gli errori grossolani, non solo di Cannavaro jr, ma anche di Pandev e Insigne sotto porta, si pagano. E brava, comunque, la Roma a restare in piedi e a riprendere da dove aveva iniziato (cioè dai primi 20’ di grandissima intensità). Altro film nella ripresa con un assedio degli ospiti che, però, davano la sensazione che non avrebbero trovato un pertugio nel muro giallorosso neanche se la partita fosse durata due giorni. Difetti strutturali, quelli in casa napoletana. E’ vero che Higuaìn non era al meglio e non poteva reggere 90’, ma resta che l’attacco azzurro è troppo leggero. Per paradosso, punte meno dotate tecnicamente come un Denis di non lontana memoria, avrebbero aiutato non poco a sbrogliare una matassa del genere. Troppo presto per dire che il Napoli è fuori dai giochi tricolori ma il tarlo del dubbio nella testa dei giocatori partenopei e dello staff tecnico è stato instillato. Mentre per la Roma, ora le cose cambiano. Non più una sorpresa. Ora è una capolista che fa paura a tutti.
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