In principio erano i due diòscuri del tennis, Federer e Nadal, poi si sono aggiunti Djokovic e Murray e divenne il tennis dei “Fab four”. Gli altri? Comparse. Spesso sbiadite. Nessuno, al di fuori di questi quattro campioni, era più riuscito a vincere una prova dello Slam dallo Us Open del 2009. A rompere quest’oligarchia che, francamente, cominciava un po’ a stancare non più la potenza devastante di Del Potro (fermatosi all’affermazione nello Slam a stelle e strisce e autore, con Safin, dell’unica “eresia” tennistica nei quattro Majors da Roland Garros 2004) o l’esuberanza atletica di Tsonga, bensì l’eterno secondo del tennis rossocrociato: Stanislas Wawrinka, prossimo alle 29 candeline.
Questo il verdetto che ci consegna il singolare maschile dell’Australian Open, un torneo il cui esito sembrava annunciato, prima nella direzione dell’ennesima sfida Djokovic-Nadal e, poi, dopo la clamorosa (ma fino a un certo punto, visti i precedenti dello Us Open di settembre e proprio di Melbourne dell’anno scorso) sconfitta del serbo con il futuro campione nei quarti, in una celebrazione dell’aggancio di Rafa Nadal alle 14 tacche Slam di Sampras con le 17 di Federer sempre più nel mirino. Persino la presenza sulle tribune dell’ex primatista statunitense pareva un atto di doveroso omaggio al mancino di Manacor.
Invece, alla sua prima finale in carriera in uno Slam e sulla scorta di un agghiacciante 0 su 12 nei precedenti con l’illustre collega ( e con 0 set all’attivo!), Wawrinka è riuscito nell’impresa.
Upset tra i più clamorosi della storia? Non proprio. Perché la finale, pur dominata nel primo set incamerato per 6-3 dallo svizzero, incontenibile con il suo rovescio a una mano, tra i più belli e devastanti del circuito e nonostante un misero 38% di prime palle, vedeva il suo momento –clou nell’avvio del secondo parziale. Un Nadal sin lì piuttosto passivo ma mobile e integro (nonostante le cure ricevute per arginare una spaventosa piaga alla mano sinistra che ne aveva limitato il servizio in ottavi e quarti), cominciava a toccarsi la schiena. Era l’inizio di uno psicodramma che prendeva il sopravvento su tutto e tutti. Lo spagnolo otteneva un MTO (sospensione del match) per curare la schiena, Wawrinka non gli dava credito e sbraitava rabbioso, il pubblico down under si schierava apertamente con l’elvetico. Ma non era una tattica ostruzionistica: il dolore di Rafa c’era tutto e il servizio arrivava a toccare la velocità (si fa per dire) di 120 km/h! Da fondo, poi, neanche tentava di recuperare le palle più angolate.
Ma si continuava. E qui lo psicodramma investiva Wawrinka che, dopo aver chiuso 6-2 il secondo set, perdeva completamente concentrazione e lucidità. Di fronte ad un avversario menomato, i testi sacri recitano: rischiare il meno possibile, alternare gli angoli, far correre l’avversario e magari usare anche qualche drop shot. Nulla di tutto ciò riusciva a Stanislas.
Pallate a casaccio, rischi abnormi, errori gratuiti a iosa e doppi falli a condire il tutto.
Il terzo set se lo prendeva, tra l’incredulità generale, Nadal per 6-3.
Ed erano in molti a giurare che, visto anche che un minimo di mobilità era tornato e il servizio risalito di velocità, lo spagnolo avrebbe potuto prevalere al quinto di pura tigna contro un avversario in totale confusione.
Il quarto, surreale, set vedeva Wawrinka conquistare un break apparentemente decisivo per il 4-2, ma restituirlo subito dopo al termine di un game da film dell’orrore, per poi riprenderlo nel game seguente fino a chiudere sul 6-3 conclusivo dopo due ore e 25’ di gioco. Che, però, si è visto, e di gran qualità, solo nel primo parziale. L’unico “vero” del match.
Restano comunque gli indiscutibili meriti di un giocatore capace, unico sin qui, di battere Djokovic e Nadal nello stesso Slam. Ora salirà a n. 3 del mondo, suo best ranking. Non più Svizzera2, quindi.
Quanto a Nadal, da ammirare la sportività con cui ha incassato sconfitta e delusione per non aver potuto difendere al meglio le sue possibilità. Ancora una volta vittima della legge del contrappasso: il fisico, a cui molto chiede e che molto gli ha dato, stavolta,non l’unica, gli ha tolto.
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