Ennesima tragedia nel mondo del motociclismo. Stavolta, teatro del lutto è la pista di Misano Adriatico, sede del Trofeo Bridgestone classe 600, una delle tappe del campionato italiano di velocità. La vittima, un ragazzo che a giugno avrebbe compiuto 25 primavere, Emanuele Cassani, originario di Faenza. Le cause? Come sempre più spesso avviene, una collisione accidentale con colleghi avvenuta poco dopo la partenza quando il gruppo non è ancora sgranato e il rischio di contatti piuttosto alto. Non un problema di manto stradale, né di misure di sicurezza in prossimità delle recinzioni, né tantomeno di intempestività nei soccorsi. Una scivolata, due colleghi che non hanno il tempo di evitare Emanuele, la collisione, una vita che se ne va. Una dinamica che ricorda sinistramente l’incidente mortale di Marco Simoncelli, travolto a Sepang il 23 ottobre 2011 dagli incolpevoli Colin Edwards e Valentino Rossi. Altra macabra coincidenza: l’autodromo è intitolato proprio alla memoria del Sic. Come beffarda fu la fine della vita di Doriano Romboni, lo scorso 30 novembre sulla pista del Sagittario di Latina, in occasione del “Memorial Marco Simoncelli”.
I soccorsi, come si diceva, sono stati tempestivi ma si è capito subito che per il povero Emanuele non c’era più nulla da fare. Degli altri due ragazzi coinvolti nell’impatto, per uno di loro, prontamente trasportato con l’eliambulanza all’ospedale Bufalini di Cesena, dopo alcuni timori iniziali, sembrano scongiurate conseguenze gravi: se la dovrebbe cavare con una frattura della clavicola e qualche escoriazione.
Tutte le competizioni in programma sono state immediatamente interrotte, su accordo unanime di Fmi, organizzatori dei vari Trofei. E il presidente della stessa Fmi, Paolo Sesti, ha voluto subito esprimere la sua vicinanza ai familiari del giovane.
Sentite anche le parole di cordoglio di Arnaldo Antonelli, il papà di Andrea, deceduto sulla pista di Mosca, nel corso del mondiale Supersport, il 21 luglio scorso. E in circostanza analoghe.
Una lunga scia di episodi luttuosi che flagella il motociclismo dal tragico 20 maggio 1973, quando a Monza, nel GP d’Italia valido per il Mondiale classe 250, perirono Jarno Saarinen e Renzo Pasolini. Da allora, moltissime cose sono cambiate: la sicurezza delle piste, delle misure di protezione a bordo pista, delle stesse moto (grazie anche all’ausilio dell’elettronica) e lo stesso equipaggiamento dei piloti è anni luce migliore. Eppure, il numero di incidenti mortali che si è concentrato da fine anni ’90 ad oggi ( soprattutto, dal 2011) non trova riscontri con quanto accadeva, pur in condizioni generali molto meno garantiste, negli anni ’70 ed ’80.
Non sta a noi, qui, sindacare sul fatto che trattasi solo di tragiche fatalità che il destino ha voluto concentrare in un arco temporale così ristretto oppure no.
E non sarebbe neanche il caso di rivangare annosi dibattiti circa l’opportunità di consentire attività sportive oggettivamente pericolose. Anche se, forse, una piccola considerazione a margine la si potrebbe fare: è vero che ognuno ha il sacrosanto diritto di impostare la propria vita come meglio gli aggrada e di fare di una propria passione, anche se potenzialmente foriera di rischi, un lavoro, così come è vero che si può morire in qualsiasi frangente del quotidiano, anche passeggiando a piedi lungo il marciapiede e che, statisticamente parlando, non c’è raffronto tra il numero di morti che la strada genera tra comuni automobilisti o motociclisti e quelli legati a competizioni agonistiche. Per cui l’obiettivo “riduzione rischi a 0” rimane e rimarrà sempre un traguardo tendenziale, destinato a non venir mai tagliato. Però rimane che sondare i propri limiti sia legittimo, ma avvicinarli troppo pericoloso. A volte mortale.
Nello specifico, come implementare ulteriormente la sicurezza, anche alla luce degli enormi progressi su elencati che la tecnologia ci ha offerto e ci offre? Con il buon senso. Che suggerirebbe di rivedere del tutto la disposizione delle griglie di partenza. Distanziare le posizioni di partenza toglierebbe un quid allo spettacolo ma eviterebbe, quantomeno, nei primi giri, quei pericolosi assembramenti di lamiere che impediscono a chi sopraggiunge di avere il tempo materiale di evitare l’impatto con chi, davanti, è caduto. Non sembra una soluzione particolarmente raffinata, anzi banale. Ma potrebbe essere, questa sì, un buon punto di partenza.
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