Cosa ci resterà negli occhi e nella memoria di quest’ultima settimana di grande tennis che ha visto gli uomini di scena a Montecarlo e le donne impegnate nelle semifinali di Fed Cup?
Sul versante maschile, certamente le luci dei riflettori vanno puntate sul vincitore, Stanislas Wawrinka. L’elvetico, per anni considerato da molti appassionati (e non senza una certa perfidia) una sorta di “Svizzera2”, all’ombra del connazionale più ingombrante che possa capitare, doveva fugare più di una perplessità sulla sua tenuta mentale dopo la non esaltante quindici giorni sul cemento Usa e i tremori accusati in Davis. Il responso fornito dalla terra del Principato è stato il più chiaro possibile: “Stanimal” c’è ed è tornato ai livelli che gli avevano consentito di vincere in Australia il primo Slam della carriera. Quindi, scontate le prevedibili difficoltà di adattamento al nuovo status di n. 3 del mondo, il titolare di uno dei rovesci più belli (e potenti) del circuito, ha completato il proprio assestamento. La finale vinta, in rimonta e lottando, prima di dilagare alla distanza con il punteggio di 4-6 7-6(5) 6-2 contro Roger Federer, dimostrano come anche l’antica sudditanza nei confronti del più illustre connazionale (1 sola vittoria a fronte di 14 sconfitte prima della finale di domenica) sia acqua passata. Ma, in realtà, è stato esemplare l’intero torneo disputato da Wawrinka. In particolare, la facilità con cui ha disposto, in semifinale, di uno dei più temibili specialisti sul rosso come David Ferrer, peraltro reduce (e forse un po’ appagato con il senno del poi) dalla clamorosa affermazione su Rafa Nadal nel turno precedente (altro esempio di nemesi rovesciata) ci consegna un giocatore dal repertorio assolutamente completo, a cominciare da un gran servizio per proseguire con un diritto finalmente continuo. Oltre al mai troppo decantato rovescio monomane. Il tutto, votato ad un pressing asfissiante sull’avversario di turno, quasi sempre costretto a cedere terreno. Quanto potrà reggere a questi livelli lo svizzero, data l’età non più verdissima (29 primavere), non è dato sapere. Ma ci sono indizi a sufficienza per ritenere che almeno sino alla fine di questa stagione, Wawrinka se la giocherà alla pari con gli altri Fab Four (attuali ed ex, in attesa di un risveglio di Murray).
Per il finalista, Roger Federer, certo l’amarezza di aver perso forse l’ultima occasione in carriera di vincere il Master 1000 monegasco, per di più con Nadal fuori gioco, non dev’essere stata poca. Ma ampiamente mitigata dalla soddisfazione di aver dimostrato a se stesso oltre che ai tanti detrattori che ne cantavano da 12 mesi il de profundis, di aver riacquistato una condizione psico-fisica eccellente. E conquistare una finale al primo torneo dell’anno su terra è l’ennesima conferma dell’ottimo lavoro che l’ex re del tennis sta conducendo sotto la guida di Stefan Edberg. Ora, Roger è molto più sicuro e selettivo nella scelta delle discese a rete, arma che anche sul lento può servire a scardinare le certezze dei picchiatori da fondo. Lo stesso Wawrinka ha impiegato più di un set per prender le misure alla varietà di schemi proposta da Federer. Certo, la lunga distanza del 3 su 5 di Parigi rende difficile inserire Federer nella rosa dei papabili ad alzare la “Coppa dei Moschettieri”, ma Roma (altro neo nella carriera dell’elvetico) potrebbe vederlo protagonista sino in fondo. E per Wimbledon potrebbe esserci ancora una chance. In fondo, rimane il giocatore più adatto ai prati.
Al di fuori dell’Empireo svizzero (che non fa presagire nulla di buono per noi in vista della comunque lontana semifinale di Davis in programma tra il 12 e il 14 settembre sul veloce indoor del PalaExpo di Ginevra), si registrano insolite note dolenti un po’ per tutti:
Nadal mai così male sulla sua amata terra. Lo scorso anno aveva visto interrompersi i suoi 8 anni (!) di dominio nel Principato, ma solo in finale e per mano del suo più agguerrito avversario, Djokovic. Stavolta, è stato sufficiente un pur ottimo Ferrer a stopparlo già nei quarti. Una battuta d’arresto che preoccupa per almeno tre ragioni: 1) ha visto sovvertire l’aurea regola che vuole che tra due giocatori dalle caratteristiche simili vinca quello con la maggior cilindrata. Ecco, l’impressione è stata che Ferrer avesse persino più giri nel motore rispetto al mancino di Manacor ed è tutto dire visto che la secca sconfitta patita dal futuro vincitore ha confermato che per David i tempi migliori sono alle spalle; 2) a memoria d’uomo non si ricorda un Nadal così passivo nel palleggio e così incapace di reagire sul piano agonistico; 3) a differenza dell’epilogo dello Slam australiano, non c’erano problemi fisici a menomare le prestazioni di Rafa.
Djokovic ha, invece, affrontato il torneo in condizioni precarie sin dall’esordio, causa problemi al polso. Non decisivi finchè il livello degli avversari era relativo. Già con il non irresistibile Garcia Lopez aveva incontrato problemi. Con Federer è stato disco rosso. Anche se, per onestà, va detto che almeno nel 1° set è stata partita vera. Da apprezzare, ad ogni modo, l’atteggiamento del serbo che ha voluto onorare sino in fondo l’impegno anche per rispetto del pubblico evitando un ritiro che avrebbe dato la stura ad antiche illazioni. Le ultime dichiarazioni di Novak, comunque, fanno ben sperare i suoi numerosi fans perchè il n. 2 del mondo (molto prossimo a riprendersi il trono) dovrebbe recuperare già per Madrid e Roma.
Sul nostro Fabio Fognini, fresco n. 13 del mondo ed eroe del quarto di finale di Davis per la sua vittoria (a conti fatti decisiva) su Murray, la disamina si fa più complessa. Qualche difficoltà imprevista di troppo in avvio con i modesti Sousa e Bautista Agut, poi la sfida con Tsonga. Per un set e e mezzo, Fabio ha regalato un grande tennis palesando una superiorità sul moro di Francia ben maggiore di quanto non dicesse il punteggio. Poi, una controversa chiamata del giudice di sedia, le escandescenze, il black out. Su youtube ancora girano i filmati sulla sequela di insulti che Fognini ha rivolto praticamente all’universo mondo, al suo angolo in primis. Senza risparmiare nessuno. Coach e padre inclusi. Un’autentica crisi di nervi. Si sapeva che la tenuta fosse l’aspetto dove lavorare ancora per fare il salto da ottimo giocatore a campione. Ma si pensava che certi eccessi fossero alle spalle. Evidentemente le aspettative create dalle prestazioni del weekend di Davis a Napoli hanno lasciato strascichi di tensione che il ligure ancora fatica a gestire. Il talento, invece, non è mai stato in discussione.
Sul versante femminile, il weekend pasquale proponeva il severo impegno di semifinale di Fed Cup sul velocissimo sintetico indoor della Cez Arena di Ostrava. Italia e Rep. Ceca. Dal 2009 l’albo d’oro della Davis in gonnella non conosce altri vincitori. Le due squadre più forti. La finale anticipata. Con tutto il rispetto per tedesche ed australiane, protagoniste dell’altra semi. Ricordando i precedenti tra azzurre e ceche risultava evidente l’incidenza del fattore campo. L’assenza di Flavia Pennetta, fresca vincitrice di Indian Wells, nonchè la nostra giocatrice più in forma e più forte sul veloce (ma non solo) sbilanciava ulteriormente il pronostico. Capitan Barazzutti ci ha messo, poi, del suo scegliendo per il singolare d’apertura (quello con la Safarova, l’avversaria più abbordabile) una Sara Errani che, oltre a non essere affatto in condizione, ha confermato che il suo tennis fatto di pazienza, lunghi scambi, rincorse e recuperi non può pagare a questi livelli su superfici così rapide. Il 6-4 6-1 con cui la Safarova ha liquidato la nostra n. 1 non rende neppure l’idea dell’effettivo divario tra le due. Il 1° set è rimasto aperto solo il tempo necessario alla ceca per registrare i suoi colpi e superare l’impasse iniziale dovuto all’emozione. Dopo, non c’è stato più match. Molto meglio sarebbe stato schierare subito la Vinci che, pur leggera, ha un tennis d’attacco con cui avrebbe potuto creare molti più problemi alla n. 2 ceca. Si sarebbe perso comunque, temo, ma, in caso, si sarebbe messa un bel po’ di pressione sulle spalle della Kvitova, straordinaria attaccante ma non certo leonessa nell’animo. Invece, sull’1-0, la n. 1 ceca ha potuto giocare con la forza dei nervi distesi contro la nostra Giorgi cui, francamente, al di là dei soliti rilievi tattici sul suo tennis “sparatutto”, non si può rimproverare granchè. Il tie l’ha poi concluso la stessa Kvitova battendo in due set la Vinci. Due set in cui, comunque, la tarantina ha avuto svariate occasioni per brekkare l’avversaria. Ma era oggettivamente troppo tardi. Anche il doppio, ininfluente, è stato appannaggio delle padrone di casa che ora si giocheranno, da favorite e in Rep. Ceca, la finale a novembre con le tedesche, facili vincitrici delle australiane. Peccato. Le speranze erano poche (dopo il forfait della Pennetta pochissime) ma quelle poche le abbiamo buttate via noi. Detto questo, difficile pensare che una Kvitova così possa restare ancora a bocca asciutta per lungo tempo nei grandi tornei. A Wimbledon sarà tra le giocatrici da battere.
Daniele Puppo
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy