Il paese delle mille contraddizioni, delle mille differenze sociali, economiche, culturali, etniche. Una realtà inimmaginabile per noi europei, visto che si parla di un subcontinente. Ma con un collante onnipresente nella vita di ogni suo abitante, dall’amazzonia alle affollatissime megalopoli, dalle favelas ai quartieri più ricchi ed esclusivi: il fùtebol. Questo era il Brasile per tutti noi.
Oggi, nonostante lo sviluppo certificato dall’inclusione del paese nei “Brics”, anche il calcio sta diventando elemento divisivo. Anche se sarebbe più corretto dire che le grandi tensioni sociali che stanno attraversando da giugno scorso (in coincidenza con la disputa della Confederations Cup, abituale prologo alla Coppa del Mondo) il paese del samba sono legate più che allo sport nazionale all’organizzazione della sua massima rassegna planetaria.
Di norma, un Mondiale e un’Olimpiade (Rio 2016) dovrebbe essere vissuto come un’opportunità imperdibile. Un attimo fuggente da cogliere senza indugio. E, visto che si parla di una terra universalmente nota anche per il suo carnevale, come una festa.
Così, però, non è.
E le ragioni le espongono, anzi le urlano al mondo in modo piuttosto chiaro i manifestanti che affollano le strade, siano esse di Sao Paulo o di Rio de Janeiro: l’organizzazione della Coppa del Mondo viene vista come un’occasione di sperpero di denaro pubblico. Soldi che potrebbero esser investiti in istruzione , sanità, trasporti pubblici e nuove reti fognarie. E anche come fonte di corruzione per i politici locali. “Troppi soldi rubati” e “Prima degli stadi dovevano costruire ospedali, scuole e strade“, due tra gli slogan più gettonati tra i manifestanti che lamentano anche un’impennata del costo della vita che sta mettendo in crisi milioni di brasiliani. Il risultato, al momento, è un clima surreale con un’attesa dell’Evento piuttosto tiepida per le strade. Il “verde amarelo” di maglie e bandiere c’è. Ma non domina come si potrebbe pensare. Deve rivaleggiare con i colori portati dai primi turisti-tifosi di altre nazionali giunti in Sudamerica. Secondo un recente sondaggio, addirittura il 45% dei brasiliani si dichiara contrario ad ospitare la Coppa. Sono lontani i tempi in cui il calcio era utilizzato come “oppio dei popoli”.
Il tutto, ovviamente, è appesantito dall’enorme sperequazione salariale che costringe alla fame intere categorie di lavoratori in una nazione dove, invece, i top manager attraversano Sao Paulo in…elicottero.
E per i più poveri tra i poveri, la delinquenza diventa spesso una via obbligata più che una scorciatoia. Di qui le immagini raccapriccianti di ragazzini che attraversano le favelas imbracciando mitra o impugnando revolver. L’ingresso nella malavita avviene in tenera età. E i veri “donos” (i padroni) di questi autentici agglomerati di povertà sono i narcos e i trafficanti di armi e munizioni.
La situazione è migliorata con la nascita delle Unidades de polìcia pacificadora (Upp) che hanno svolto una capillare azione di bonifica di intere aree. Ma a prezzo di sanguinose rappresaglie. “Pacificazione”, la chiamano qui.
Il che ci porta ad un altro tema caldo: la sicurezza. Per poterla garantire durante tutto l’arco della manifestazione, il governo brasiliano ha mobilitato 150 mila agenti dell’esercito e della polizia, oltre a 250 mila guardie private. Stipendio mensile di questi tutori dell’ordine? Circa 250 dei nostri euro. Per rischiare la vita. Una situazione paradossale: per molti, i vigilantes sono dei violenti senza scrupoli ma sono anche tra le categorie più sottopagate. Spesso, loro stessi in prima fila nei cortei di protesta. Quando non decisi a scioperare per un irrisorio aumento salariale. Onde scongiurare astensioni durante il mese del Mondiale, il governo ha, infatti, dovuto garantire alla polizia federale un ritocco del 16% del loro stipendio.
Scioperi, appunto. Altro tema che sta tenendo banco in Brasile in questa vigilia del grande evento.
L’ultima nuova è che i dipendenti della metro di Sao Paulo hanno deciso, nonostante il mancato reintegro di 42 colleghi licenziati, di non riprendere lo stato di agitazione ad oltranza interrotto martedì, dopo 5 giorni di astensione dal lavoro che aveva paralizzato il traffico cittadino. Lo sciopero avrebbe creato pesanti disagi alla partita inaugurale dei Mondiali, che si gioca alle 17 (le 22 in Italia) allo stadio Itaquerao tra Brasile e Croazia.
Trasporti “normalizzati”, dunque? Neanche per sogno. Morto uno sciopero se ne indice subito un altro. A Rio, infatti, a scendere sul piede di guerra è il personale di servizio dei tre aeroporti della “Cidade maravilhosa”. 24 ore di astensione a partire dalla mezzanotte locale (le 5 di in Italia). I lavoratori aeroportuali scioperano per il rinnovo del contratto collettivo di lavoro.
Le penose condizioni dell’Arena Amazonia di Manaus
Quanto agli impianti, però, tutto ok? Nemmeno. “Quando c’è un evento come i Mondiali, non si può esibire un cartello con la scritta ‘siamo pronti’”, ha dichiarato neanche una settimana fa Aldo Rebelo, ministro dello sport brasiliano. “Bisogna essere preparati ogni giorno – ha proseguito – e tutti devono lavorare 24 ore su 24. Abbiamo fatto tutto ciò che era nelle nostre possibilità affinché tutto fosse pronto il prima possibile”. A tal proposito, il “fenomeno”, al secolo Ronaldo, attualmente membro del consiglio di amministrazione del Comitato Organizzatore Locale brasiliano (il COL), ha voluto precisare che: “Se dovessi dire che la Fifa non ha avuto problemi sarei un bugiardo. Ma ne aveva avuti anche in Sudafrica quattro anni fa: il problema non è solo il Brasile, il problema è che organizzare un Mondiale è un’impresa, e quando giocavo non me ne rendevo conto. Adesso sì“. Fatto sta che, il giorno stesso dell’avvio della Coppa del Mondo gli stadi non sono ancora ultimati. In alcuni mancano solo alcuni seggiolini. Ma in altri il ritardo è ancor più evidente. Ad esempio, nell’Arena Corinthians, impianto nuovo di zecca sorto nel quartiere di Itaquera, a Sao Paulo, si registrano ancora copiose infiltrazioni d’acqua in tribuna. E in questo stadio, il Brasile dovrà giocare il suo match d’esordio. Oggi. Ma basti pensare anche a cosa attende la nostra nazionale: in queste ore stanno facendo il giro del mondo le immagini del terreno dell’Arena Amazonia di Manaus più simile ad un campo di patate che ad un manto erboso. Ci dovremmo giocare tra poco più di 48 ore. In uno stadio, per una città, la capitale dello stato di Amazonas, che non ha una squadra. 203 milioni di euro spesi per costruire una futura cattedrale nel deserto. Oppure un carcere, secondo rumors che si susseguono negli ultimi giorni. Ma il tributo più elevato è stato pagato in termini di vite umane: quattro i casi di “morti bianche”. Altro tasto dolentissimo di una marcia d’avvicinamento al Mondiale che più tormentata non poteva essere.
A fronte di un quadro così esplosivo qual’è la posizione ufficiale delle istituzioni brasiliane?
Il presidente della Repubblica verdeoro, Dilma Rousseff, ha provato a tranquillizzare gli animi con un messaggio alla nazione diffuso via Radio e Tv due giorni fa: “Il Brasile è pronto, dentro e fuori dal campo, per i Mondiali di calcio“. Rousseff ha ammesso le difficoltà incontrate durante l’organizzazione, ma ha sottolineato che i 12 stadi sono pronti e che “il Brasile, come il Cristo Redentore, accoglie tutti a braccia aperte“. “I pessimisti sono stati sconfitti (ebbene sì, esistono “i gufi” anche in Brasile) dal duro lavoro e dalla determinazione del popolo brasiliano, che non si è mai arreso“. Rousseff ha quindi difeso la spesa di 11 miliardi di dollari, sottolineando che “abbiamo costruito e migliorato aeroporti, porti, strade, ponti, strade di accesso, linee di trasporto veloce e lo abbiamo fatto in primo luogo per i brasiliani“, perchè queste opere “non partiranno con le valigie dei turisti dopo il Mondiale, ma resteranno qui, a beneficio di tutti i brasiliani“.
Intanto, il presidente del Brasile è riuscito a strappare una tregua, per la durata del mondiale, al potente sindacato “Movimento dei lavoratori rurali senza terra” (MTST), promettendo un nuovo piano di edilizia popolare da 2mila case. In caso di mancato rispetto degli impegni, la protesta ripartirà. Con tutte le incognite del caso, visti i disordini dell’ultimo anno causati anche dall’infiltrazione degli immancabili blac bloc. In ogni caso, il sindacato ha voluto far sapere che chiederà al presidente della Fifa, Joseph Blatter, un minuto di silenzio prima di Brasile-Croazia in memoria degli operai morti durante i lavori. E “suggerirà” ai politici l’impiego di tutte le risorse pubbliche in educazione, sanità e sicurezza.
Sul Corcovado, a braccia aperte, il Cristo Redentore è pronto ad accogliere turisti, tifosi, atleti e delegazioni di 32 paesi che promettono un’invasione pacifica e colorata del Brasile. In basso, di fronte alla spiaggia di Copacabana, lo striscione: “World Cup in a country of misery, financed by public money, is a moral problem“. Dietro, molti “trabalhadores” (lavoratori). A braccia conserte.
Il paese delle mille contraddizioni.
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