Tutta la gioia di De Bruyne dopo il gol del vantaggio belga
E’ una Coppa del Mondo, questa in corso di svolgimento in Brasile, che, comunque vada a finire, è già nella storia: eguagliato il primato di match di ottavi di finale giunti all’extra time, 5 su 8, del Mondiale del 1938 in Francia. Allora non c’erano ancora i rigori e se la parità perdurava oltre i 120′, si rigiocava la partita, qui si va sul dischetto. In Francia vi fu anche un quarto di finale, Brasile-Cecoslovacchia (ora smembrata, altro segno dei tempi che cambiano), che finì ai supplementari e poi venne decisa nel replay. E c’è da scommettere che in Brasile almeno un’altra partita che non esprimerà un verdetto nei 90′ regolamentari l’avremo. Al di là del dato meramente statistico, questo è un Mondiale destinato a rimanere nella piccola storia della pedata per il suo straordinario equilibrio e per l’incertezza delle partite. O quasi. Perchè poi, alla fine, i valori emergono e a passare, pur tra mille sofferenze, sono le solite note o, come nel caso di Colombia e Belgio, le sorprese annunciate già prima della vigilia. In ogni caso, un Mondiale molto bello (sotto il profilo meramente spettacolare meno di altri ma sempre sopra la media) e ricco di pathos.
Gli ultimi due ottavi di finale in programma ieri non hanno fatto eccezione: Argentina e Belgio hanno sudato le proverbiali sette camicie contro Svizzera e Usa ma, alla fine, sono entrate nel club delle “magnifiche otto”.
Angel Di Marìa dedica dopo il gol il cuore alla figlia
Argentina-Svizzera è stata una partita condotta secondo lo spartito atteso e preferito dai rispettivi tecnici, Sabella e Hitzfeld. Il Ct tedesco degli elvetici voleva una squadra con baricentro basso, palla agli avversari, ostruzione degli spazi, pochissimo ossigeno per le stelle Messi, Di Marìa, Higuaìn e Lavezzi, ripartenze ficcanti ove possibile. Sabella reclamava palla ai suoi, fraseggio corto, manovra di aggiramento in attesa dello scarico giusto per uno dei suoi virtuosi solisti. Nel primo tempo, la Svizzera eseguiva alla perfezione il copione (salvo divorarsi con Drmic un comodo a tu per tu con Romero), l’Argentina lo faceva sì ma al rallentatore. I pericoli maggiori, infatti, li creava una attentissima Svizzera, capace di costringere il portiere della Sampdoria anche ad un complicato e poco ortodosso intervento di piede su gran sventola di Xhaka.
Tra fuoriclasse ci si intende: Messi e Di Marìa
Nel secondo tempo, gli argentini stringevano i tempi e anche d’assedio l’area elvetica in cerca del vantaggio. Sabella, che è uomo pratico ma anche estremamente poco creativo, non inventa nulla e si limita ad inserire Palacio per un deludente Lavezzi. Una punta per un’altra. Pur nella sua disorganizzazione collettiva, gli spunti dei solisti argentini meriterebbero il premio del gol. La Svizzera, del resto, molto pronta a ripartire nei primi 45′, è ora esclusivamente rintanata dietro a protezione del fortino eretto attorno a un eccellente Benaglio. Inler, Behrami e Xhaka sono costretti ad una gara di puro sacrificio su Messi e palloni giocabili per il talento di Shaqiri non se ne vedono.
Festa argentina e disperazione Dzemaili
L’Argentina preme, i rossocrociati vacillano ma non crollano. Logico epilogo, i tempi supplementari. Qui, per i primi 15 minuti, gli uomini di Hitzfeld sembrano ritrovare almeno parte delle energie perdute e provano a riaffacciarsi dalle parti di Romero. Ma con scarsa convinzione. Nel secondo supplementare, l’Argentina attacca in forze. Benaglio è prodigioso nel togliere dall’angolo un tracciante di Di Marìa ma, con i rigori che incombono, la “pulce” decide che è bene non rischiare lotterie e se ne va in accelerazione, supera un avversario e serve Di Marìa che, con un sinistro di prima intenzione, fulmina l’estremo rossocrociato. Apoteosi albiceleste? Per i numerosissimi tifosi argentini, in festa, è così. Per gli elvetici, no. La manciata di minuti che intercorre tra il 118′ (minuto della rete dell’esterno del Real) e il fischio finale di Eriksson sono da cuori forti. Dzemaili, pescato in area da Shaqiri, centra un clamoroso palo di testa. E il destino è così crudele da offrirgli una seconda chance. Ma è una prova diabolica perchè il pallone, rimbalzato sul legno, torna verso il centrocampista del Napoli ma a velocità tale che ci vorrebbero i riflessi di Flash Gordon per addomesticarlo. Dzemaili è bravo. Ma non è Flash Gordon. Il Brazuca gli rimbalza sullo stinco e si perde a lato. Di qualche millimetro. Romero può solo osservare in apnea e con il terrore negli occhi. Così pure gli oltre 50.000 tifosi di biancoceleste vestiti. Vicenda che ricorda sinistramente la traversa di Pinilla al 120′ di Brasile-Cile. L’attaccante del Cagliari, poi sfortunato protagonista dagli undici metri, ha reagito a cotanta beffa tatuandosi la porta di Julio Cesar con il suo tiro che impatta sulla traversa. Non è dato ancora sapere quale sarà la reazione di Dzemaili, oltre alle mani nei capelli e lo sguardo nel vuoto per l’occasione della vita persa di un nonnulla. Ci sarebbe, subito prima del triplice fischio, anche una punizione dal limite per la Svizzera. Con il piedino fatato di Shaqiri pronto a mulinare. Ma il destino aveva altri progetti. Bergoglio avrà sorriso, le guardie svizzere un pò meno, per dare risposta ad uno spassoso tweet che ieri ha fatto il giro del mondo.
L’euforia di una tifosa belga: ne ha tutti i motivi
Avanti l’Argentina delle sue magnifiche individualità ma con il Belgio, squadra tecnicamente di ben altra caratura rispetto agli elvetici, ci vorrà anche una parvenza di gioco. Il tango è un ballo malinconico, si sa, ma così rischia di diventare un tango triste.
Per la Svizzera, invece, si apre un nuovo capitolo: Hitzfeld, peraltro colpito dal lutto del fratello poche ore prima del match e per questo meritevole di tutto il sostegno possibile e immaginabile, lascerà. Al suo posto, Vladimir Petkovic, l’ex tecnico della Lazio.
In serata, poi, il Belgio ha guadagnato l’accesso ai quarti per quella che si preannuncia come una gustosa rivincita della semifinale di Mexico ’86 dove Maradona, da solo, spedì i “diavoli rossi” agli inferi, portando i suoi nel paradiso della finale dell’Azteca. Ma la squadra di Wilmots ha dovuto scrollarsi di dosso dei rognosissimi ed orgogliosissimi Usa, ottimamente guidati da Klinsmann. Molto si è detto e scritto in questi giorni della cosiddetta “Soccer Fever”, la febbre da calcio che, dopo innumerevoli tentativi di sedurre il riottoso popolo stelle e strisce andati a vuoto (dai Cosmos di Pelè e Chinaglia ad un Mondiale organizzato), sembra aver contagiato persino Obama e convinti elogi meritano i ragazzi in maglia bianca per solidità e temperamento, però un’eliminazione del Belgio sarebbe stata un palese atto di ingiustizia. Gli statunitensi non hanno demeritato affatto e hanno persino giocato meglio nel segmento centrale del primo tempo, ma prima e fino al 107′ (minuto della rete di Green) i belgi hanno creato un quantitativo di palle-gol che servirebbe un elenco telefonico per rammentarle tutte. Il problema, non di poco conto, è che, vuoi per imprecisione vuoi per i miracoli in serie sfornati dal portiere Howard, le hanno dilapidate tutte. O quasi. De Bruyne, in apertura di extra time, così come accaduto a Schuerrle per la Germania con gli algerini, sbloccava il risultato approfittando di una poderosa percussione del neoentrato Lukaku, fin qui eroe negativo del mondiale belga avendo steccato tutte le partite precedenti ma vogliosissimo di redenzione. Al punto da firmare in proprio il raddoppio belga in chiusura di primo tempo supplementare. E stavolta anche un Howard fantastico in precedenza su Origi (anche una traversa per l’attaccante del Lille), Hazard, Fellaini, De Bruyne e Vertonghen, doveva alzare saracinesca e bandiera bianca.
Lukaku sta calciando con forza il pallone del raddoppio
Anche qui, come in Argentina-Svizzera, scene di giubilo di giocatori e tifosi in vantaggio, e sensazione diffusa che il thriller abbia svelato il suo finale. Ma anche in questo caso siamo tutti vittime di un colossale abbaglio.
Klinsmann gioca la carta della disperazione. E che carta! Il ragazzino che spedisce in campo si chiama Julian Green, ha 19 anni compiuti da neanche un mesetto e già gioca in Bundesliga e non in un club qualsiasi: nel Bayern. E ha già esordito in Champions League (Cska Mosca-Bayern 1-3 del 27 novembre 2013). Ha talento ed è rapido. E si vede. Subito. Con un esterno destro batte quello che, probabilmente a ragione, è oggi considerato il miglior portiere del pianeta, Courtois, e manda in onda un altro film. Quello della riscossa yankee. Per carità, il Belgio avrebbe ancora le sue brave occasioni per riportarsi sul doppio vantaggio, ma la partita assume tutt’altra fisionomia. Gli Usa, cui va riconosciuto, a fronte di un talento tecnico modesto in più di qualche elemento (non si ricorda qualcosa di più inguardabile dell’attaccante subentrato, Wondolowsky), un cuore grande così, hanno almeno due occasionissime per il pari. Per generosità e per il bene dello spettacolo lo meriterebbero anche. Ma la punizione per le cicale in maglia rossa sarebbe stata davvero troppo crudele.
Julian Green accorcia le distanze per gli Usa
Argentina-Belgio, di scena sabato alle 18 italiane a Brasilia, si preannuncia come un match apertissimo: gli argentini hanno dalla loro fiumi di talento in attacco e grande tradizione (e si è visto come questo conti), ma il Belgio ha quasi altrettanta classe ma più diffusa tra i vari reparti e un gioco più organico. Ha ballato troppo ieri notte, di fronte agli assalti finali degli Usa, ma sembra formazione più compatta e, nel complesso, più completa di quella sudamericana. Non è detto che basti per fare il colpaccio, anzi, però è una squadra che, pur avendo vinto tutte e tre le partite del girone, non aveva impressionato affatto. Ieri è tornata a giocare bene. E il Mondiale è un torneo lungo un mese: più che partire a razzo, conta trovare la miglior condizione in corso d’opera. Considerato, poi, che in porta Wilmots può contare su un portiere, Courtois, che oltre ad essere fortissimo è anche una sorta di amuleto vivente (il Belgio non ha mai perso con lui tra i pali), si capisce come il quarto di Brasilia prometta di essere una partita da ricordare. Magari non conclusa in 90′.
Diego Maradona semina il panico tra la difesa belga nella semifinale di Mexico ’86
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