Per la prima volta sul suolo americano e’ arrivata una persona che ha contratto il virus Ebola. Si tratta del medico Kent Brantly, 33 anni, volontario che lavorava in Liberia, uno dei Paesi in cui si trovano i focolai della malattia. Brantly – originario del Texas, arrivato in Liberia due anni fa con la moglie e due figli con l’organizzazione non governativa Samaritan’s Purse – e’ giunto in Georgia. E, tra mille precauzioni, e’ stato trasportato dalla base militare in cui e’ atterrato l’aereo all’Emory University Hospital di Atlanta. La notizia confortante è che il medico starebbe rispondendo bene alle terapie, ha detto il direttore del Cdc (Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie) di Atlanta, Tom Frieden.
Kent Brantly all’arrivo all’ospedale di Atlanta
A gettare ulteriore acqua sul fuoco delle grida d’allarme che stanno animando i social di tutto il mondo, soprattutto negli Usa, stanno pensando le autorita’ sanitarie americane impegnate a ribadire come i rischi di contagio siano quasi inesistenti, rispondendo anche ai tanti che si opponevano al trasferimento negli Stati Uniti di persone infettate. Anche se, ad onor del vero, le immagini trasmesse su tutte le principali tv americane relative all’ingresso in ospedale di Brantly non rassicurano molto, almeno dal punto di vista psicologico: si vede un’ambulanza blindata e scortata da un corteo di auto con il paziente che, arrivato davanti all’ingresso della struttura, scende completamente coperto, dalla testa ai piedi, con una tuta bianca, cosi’ come le numerose persone che gli stanno intorno e lo guidano all’interno della struttura. I responsabili dell’ospedale spiegano come ci siano buone speranze di rimettere in sesto Brantly, cosi’ come Nancy Writebol, la missionaria americana, originaria dalla North Carolina, che arriverà negli Usa nelle prossime ore.
I maggiori esperti americani di malattie infettive stanno cercando di tranquillizzare il pubblico sulla scarsissima possibilita’ che il virus Ebola si diffonda negli Stati Uniti. Ma il timore sta crescendo e tweet allarmati si sono sparsi sui social media. “L’Ebola presenta pochi rischi per la popolazione Usa“, ha ribadito Tom Frieden, pur dovendo amnmettere che si è di fronte al “contagio piu’ vasto e complesso mai registrato“.
Per Anthony Fauci, direttore dell’Istituto Nazionale contro le malattie Infettive, “certo c’e’ la possibilita’ che qualcuno infetto con il virus in Sierra Leone o Liberia salga su di un aeroplano e venga negli Stati Uniti. Ma le probabilita’ che il virus si diffonda qui come sta succedendo nei Paesi colpiti in Africa sono straordinariamente basse. Sia io che i Cdc siamo fiduciosi che non ci sara’ un’epidemia“.
Sul delicato argomento era già intervenuto, nei giorni scorsi, anche il presidente Usa, Barack Obama: “Il virus Ebola e’ qualcosa da prendere molto seriamente“, aveva avuto modo di affermare prima dell’arrivo sul suolo americano del Dott. Brantly. “Non si tratta di una malattia facilmente trasmissibile – aveva aggiunto parlando in diretta Tv dalla Casa Bianca – ma bisogna identificare, mettere in quarantena e isolare chi può trasmetterla. E agire – aveva aggiunto – in modo organizzato“. Obama aveva anche dichiarato che, in via precauzionale, sarebbero stati intensificati i controlli anche in vista dell’arrivo dei leader africani alla Casa Bianca per il summit Usa-Africa previsto per questa settimana.
“In conseguenza dell’aggravarsi della situazione sanitaria legata all’epidemia di febbre emorragica (Ebola) è stato dichiarato lo stato d’emergenza” in Sierra Leone e “si sconsigliano pertanto i viaggi non necessari nel Paese“, il ‘warning’ lanciato dalla Farnesina sul sito ‘Viaggiare Sicuri’.
La diffusione del virus Ebola in Italia è ‘improbabile’. Lo afferma la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit) in una nota. A sostegno di questa affermazione, scrivono gli esperti, si ricorda che i focolai di infezione si generano attraverso la trasmissione del virus da parte di un animale ospite in aree prossime alla foresta, lontane da aree metropolitane e dagli aeroporti internazionali. Inoltre la malattia si manifesta nella maggioranza dei casi con gravi sintomi che obbligano il malato al letto e ne impediscono gli spostamenti. Tenuto conto anche della relativa brevità dell’incubazione, l’ipotesi che l’infezione possa giungere via mare con persone che, partite dalle zone interessate dall’epidemia, abbiano attraversato il nord Africa via terra per poi imbarcarsi verso l’Europa è destituita di fondamento. ”L’infezione da virus Ebola è solo una delle numerose infezioni emergenti segnalate negli ultimi anni – spiega Massimo Galli, infettivologo SIMIT, Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “L. Sacco” di Milano – Di alcune di esse, come la SARS e la MERS, sono stati osservati in Italia solo casi importati, senza che si generassero nuove infezioni nel paese. Altre invece sono presenti in Italia, come la febbre da virus West Nile, mentre un’epidemia di febbre da virus Chikungunya è stata registrata in Romagna nel 2007”.
Margareth Chan, direttrice dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ha messo in guardia contro le “conseguenze catastrofiche” della diffusione del virus e del rischio di propagazione ad altri Paesi sottolineando come le forze ‘schierate’ in campo a livello di singoli Paesi e internazionale siano “tristemente inadeguate“. Le dichiarazioni della direttrice dell’Oms sono state fatte nel corso di un summit regionale sull’epidemia a Conakry (Guinea). “Questo incontro – ha aggiunto – segna una svolta nella lotta contro l’epidemia“.
Daniel Bausch, un ricercatore della Tulane university, su Plos Neglected Tropical Diseases ha affermato che a favorire la diffusione del virus sono state probabilmente la stagione straordinariamente secca e la migrazione dei pipistrelli, in aggiunta all’estrema povertà delle zone colpite. Guinea, Liberia e Sierra Leone, dove si sono sviluppati i focolai, vengono da guerre civili e sono tra i più poveri al mondo. Questo non solo implica che i sistemi sanitari sono impreparati, ma aumenta i contatti con i potenziali vettori. ”Gli animali portatori del virus di solito non hanno molti contatti con l’uomo – si legge nell’articolo di Bausch – ma la povertà spinge le popolazioni nelle foreste in cerca di risorse, e questo ovviamente aumenta i rischi”.
Sul ‘banco degli imputati’, per il ricercatore, sono, quindi, le migrazioni di pipistrelli e la grande siccità: “E’ probabile che il ‘viaggiatore’ sia stato un pipistrello, visto che la Guinea è l’unico paese in cui questi animali migrano”. A conforto di questa tesi, vi sono alcuni test preliminari che hanno mostrato come la popolazione potrebbe essere stata esposta qualche anno prima dello scoppio dell’epidemia al virus, che potrebbe aver circolato appunto nei ‘topi alati’, che sono anche consumati come cibo nella zona. Quanto all’altra possibile causa, la siccità, Questa favorirebbe maggiormente la propagazione del virus poichè aumenterebbe il flusso migratorio dei pipistrelli, accrescendo le possibilità di contatto con l’uomo. ”Ancora non sono stati fatti studi sistematici sulle condizioni che si sono avute quest’anno in Guinea – afferma Bausch, che è appena tornato dal Paese africano – ma gli abitanti della regione riportano una stagione secca particolarmente dura. Questo potrebbe essere dovuto alla grande deforestazione subita dall’area negli ultimi decenni”. A corroborare quest’ipotesi, il fatto che i primi focolai si siano registrati nel mese di dicembre che segna il passaggo dalla stagione umida a quella secca.
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