Dal 4 ottobre 2014 all’8 febbraio 2015 il Complesso del Vittoriano di Roma ospita la mostra Mario Sironi 1885-1961.
Picasso diceva di lui: “avete un grande Artista, forse il più grande del momento e non ve ne rendete conto”. La grande arte di Mario Sironi (1885-1961) oltrepassava i confini nazionali e imponeva a livello europeo uno dei più importanti e originali pittori italiani, fra i più rappresentativi della sua epoca. A vent’anni dall’ultima rassegna italiana della Galleria Nazionale d’Arte Moderna la mostra al Vittoriano, curata da Elena Pontiggia in sinergia con l’Archivio Sironi della nipote Romana Sironi, offre, attraverso un’accurata selezione di novanta dipinti, bozzetti, riviste e un fondamentale carteggio, il ritratto nitido e esaustivo di un artista che seppe attraversare le principali correnti espressive del proprio tempo mantenendo un’impronta caratteristica e inconfondibile.
Dopo il simbolismo degli esordi Sironi, spinto da Boccioni, si avvicina al futurismo – piuttosto tardi, in realtà, in quanto il pittore nutriva forti perplessità su alcuni principi del movimento, come l’idiosincrasia verso i musei –, per poi abbracciare la Metafisica di De Chirico – presente in mostra uno dei lavori più significativi del periodo, La lampada (1919) – e il classicismo della rivista «Valori Plastici», rivista diretta dal pittore e collezionista Mario Broglio dal 1918 al 1922. A cavallo fra il 1919 e il 1921, dopo essersi trasferito da Roma a Milano, dipinge i Paesaggi urbani, ciclo pittorico in cui la sapienza espressiva costituita da una calibratura segnatamente volumetrica incontra un lirismo malinconico e sottilmente pervasivo.Nel 1922 fonda, insieme a Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig e Oppi e con il sostegno di Margherita Sarfatti il movimento classicista Novecento italiano – che venne successivamente chiamato Sei pittori del Novecento per l’assenza di Oppi – anticipato, due anni prima, dal Manifesto futurista. Contro tutti i ritorni in pittura, firmato insieme a Funi, Dudreville e Russolo; esemplare di questo periodo è il dipinto L’architetto (1922-1923) che, unitamente ad altre tre opere, costituirono il contributo di Sironi alla Biennale di Venezia del 1924. La mostra prosegue registrando la ‘crisi espressionista’ del pittore (si veda a tal proposito Il pescatore del 1930) e la sua adesione alla pittura murale (come testimoniano Il lavoratore e L’impero, ambedue datati 1936), espressione compiuta di un’arte popolare e collettiva, a cui dedicò anche due testi, Pittura murale (gennaio 1932) e Il Manifesto della Pittura Murale (dicembre 1933), firmato quest’ultimo anche da Campigli, Carrà e Funi. Seguono la svolta neometafisica (Eclisse, 1943) e il ritorno al quadro avvenuto negli anni Quaranta (La penitente, 1945), le opere del Dopoguerra – segnate, come in Composizione blu (1951), da una sensibilità pre-informale che intercettò l’ammirazione di Michel Tapié – e il lascito crepuscolare rappresentato da lavori come Il mio funerale (1960) e Apocalisse (1961).
Artista poliedrico, cui a lungo si rinfacciò la convinta adesione al fascismo (di cui peraltro non condivise aspetti radicali come le leggi razziali), la grandezza di Sironi risiede nella monumentalità tragica, nel senso del dramma che pervade come un basso profondo e ineludibile forme e campiture. Riportando la testimonianza di Gianni Rodari, sodale del Maestro, Elena Pontiggia annota: «“Per me la sua pittura è una lezione di tragedia… Non c’è pittore che valga i suoi quadri”. A scrivere così di Sironi non è un critico d’arte, un accademico, un professore universitario, ma lo scrittore Gianni Rodari. E non sta parlando di estetica, ma di quando il 25 aprile aveva salvato la vita all’artista, fermato da un gruppo di partigiani di cui lui, Rodari, faceva parte. Forse perché non è un critico, Rodari centra il cuore della questione: l’arte di Sironi è una lezione di tragedia. Ma c’è dell’altro. La pittura di Sironi è anche una lezione di grandezza. Le due cose combaciano nelle sue opere come le valve di una conchiglia. Tragedia, cioè drammaticità, tensione, espressionismo, romanticismo. Grandezza, cioè forza, equilibrio, solennità, classicità».
MARIO SIRONI 1885-1961
4 ottobre 2014 – 8 febbraio 2015
Complesso del Vittoriano – Via San Pietro in Carcere, Roma
Orari: dal lunedì al giovedì 9.30-19.30; venerdì e sabato 9.30-22.00; domenica 9.30-20.30
Info: tel. 06/6780664
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