È morto Günter Grass. Lo scrittore tedesco, premio Nobel per la Letteratura nel 1999, si è spento in una clinica di Lubecca a 87 anni. A dare l’annuncio è stata la sua casa editrice, Steidl.
Era nato a Danzica nel 1927, da padre tedesco e madre di origini polacche.
Romanziere, poeta e autore teatrale, fu un’icona della sinistra socialdemocratica e un simbolo vivente degli sforzi e delle inquietudini di un Paese lacerato dalla seconda guerra mondiale.
Fece parte del Gruppo 47, movimento di giovani scrittori che si proponevano di resuscitare la cultura tedesca del dopoguerra con le armi del realismo e del grottesco. A questi anni risalgono le sue opere più note, i suoi primi romanzi Il tamburo di latta e Gatto e topo.
Negli anni Sessanta, ai tempi della contestazione giovanile, fu critico sia nei confronti della sinistra extraparlamentare che della destra. In seguito fece campagna elettorale per il Cancelliere socialdemocratico Willy Brandt, del quale condivideva la politica dei “piccoli passi”.
Si dichiarò sempre pacifista e prese regolarmente posizioni critiche fino alla scomodità, come quando, all’indomani della caduta del Muro di Berlino, si dichiarò contrario alla riunificazione della Germania, per timore di una rinascita dell’aggressivo militarismo tedesco.
Il Nobel gli fu assegnato nel 1999 per aver “ritratto la faccia dimenticata della storia” nelle sue “giocose favole nere”.
Nel 2006 rivelò in un’intervista che nel 1944, a diciassette anni, aveva provato ad arruolarsi volontario in Marina; respinto in un primo momento, era entrato in seguito nelle SS.
Prima di allora, si credeva che Grass fosse stato uno dei numerosi adolescenti richiamati alle armi d’ufficio come ausiliari negli ultimi anni della seconda guerra mondiale.
La rivelazione scosse il suo prestigio morale e scatenò un dibattito internazionale sulla sua figura e sui suoi meriti, tanto che la città di Danzica, passata alla Polonia dopo la guerra, gli ritirò la cittadinanza onoraria.
Da parte sua, Grass spiegò che arruolarsi era stata una scelta comune a tanti suoi coetanei, che in questo modo volevano “girare l’angolo e voltare le spalle ai genitori”.
Altre polemiche gli derivarono da due poesie pubblicate nel 2012. Nella prima, Ciò che deve essere detto, affermava che la politica nucleare israeliana fosse più pericolosa per la pace nel mondo di quella iraniana. Lo Stato ebraico lo dichiarò persona non grata e lui replicò paragonandolo alla Germania est.
Pochi mesi dopo, in Ignominia d’Europa, accusò la UE – e implicitamente il governo tedesco di Angela Merkel – di aver condannato a morte la Grecia, culla della civiltà europea, e quindi di aver condannato anche se stessa, “priva di spirito”, a una morte lenta e inevitabile.
Filippo M. Ragusa
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