Bruno Contrada non andava condannato. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, costato all’ex funzionario del SISDE una condanna a dieci anni di carcere, non era ancora previsto nell’ordinamento italiano ai tempi dei fatti a lui contestati.
Contrada era stato arrestato nel dicembre 1992. La sua condanna a dieci anni di reclusione, più il pagamento delle spese processuali, è diventata definitiva nel 2007, quando la Corte di Cassazione ha confermato l’esito del secondo processo d’appello; il primo era stato annullato nel 2002.
Ha scontato la pena agli arresti domiciliari per motivi di salute dal 2008 alla scarcerazione, avvenuta nel 2012.
I suoi legali avevano fatto ricorso a Strasburgo nel 2008, chiedendo un risarcimento di 80 mila euro per danni morali: secondo loro, la sentenza violava il principio nulla poena sine lege, secondo cui nessun tribunale può punire un imputato per fatti che, quando sono stati commessi, non costituivano un reato.
Oggi la Corte gli ha dato ragione. La sua condanna, come si legge nella sentenza, viola i principi di “non retroattività e prevedibilità della legge penale”.
Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, nel caso specifico, è il risultato di un’evoluzione della giurisprudenza italiana avvenuta tra la fine degli anni Ottanta e il 1994, quando è stato definito per legge.
I giudici italiani, quindi, non avrebbero dovuto usarlo per inquadrare i fatti contestati a Contrada, che sono avvenuti fra il 1979 e il 1988, quando era numero tre del SISDE.
Ora lo Stato dovrà risarcire Contrada di 10.000 Euro per i danni morali e 2.500 per le spese processuali, a fronte di una richiesta di 80.000 e 30.000.
È la seconda volta che l’ex funzionario SISDE ottiene un risarcimento dalla corte di Strasburgo: nel febbraio 2014 ne aveva ricevuto un altro per il ritardo con cui gli erano stati concessi gli arresti domiciliari, pari a 10.000 Euro più 5.000 per le spese processuali.
Ma la battaglia legale sul suo caso non accenna a finire.
“Ho presentato due mesi fa la quarta domanda di revisione del processo a Bruno Contrada e la corte di appello di Caltanissetta mi ha fissato l’udienza il 18 giugno. La sentenza di Strasburgo sarà un altro elemento per ottenere la revisione della condanna”, afferma l’avvocato Giuseppe Lipera, difensore di Contrada. “Ora capisco perché nonostante le sofferenze quest’uomo a 84 anni continui a vivere”.
Contrada, a sua volta, si è detto “frastornato, sconvolto, ansioso di sapere di più”: “Aspetto di leggere la sentenza – ha affermato – per rendermi conto di cosa dice e per quale motivo è stato accolto il mio ricorso”.
La vicenda giudiziaria di Contrada, già al centro dell’attenzione da 23 anni, presenta ancora molti dettagli oscuri.
Decisive per condannarlo sono state le testimonianze di diversi collaboratori di giustizia, a partire da Tommaso Buscetta, secondo i quali Contrada, sotto la copertura di “vertici istituzionali” mai identificati, avrebbe passato alla mafia informazioni riservate, permettendo ad alcuni dei suoi esponenti più pericolosi – tra cui Totò Riina – di evitare l’arresto.
L’ex dirigente del SISDE, invece, ha sempre sostenuto che i collaboratori di giustizia abbiano fatto il suo nome nelle inchieste per vendicarsi del trattamento ricevuto da lui quando era direttore della squadra mobile di Palermo.
Sono controversi anche i suoi rapporti con il giudice Paolo Borsellino, assassinato dalla mafia nel 1992: secondo Contrada, Borsellino era suo stretto collaboratore e amico, ma i parenti del giudice lo hanno negato categoricamente.
Filippo M. Ragusa
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