Sulle riforme politico istituzionali la tanto temuta palude non ci sarà ma per il premier Renzi si profila una strada decisamente in salita per quanto riguarda il controllo del Pd. La direzione del partito che doveva sancire la riapertura del dialogo all’interno dei dem ha prodotto due soli risultati: la conferma della linea di Renzi che sull’Italicum, ovvero sulla legge di riforma elettorale chiede e avverte che non tollererà modifiche al testo già approvato da un ramo del Parlamento e dall’altra l’uscita di scena del presidente del gruppo parlamentare alla Camera Roberto Speranza dimissionario per aver visto fallire miseramente ogni tentativo di mediazione tra maggioranza e minoranza Pd.
Ma c’è di più. Dall’assise di ieri molti si aspettavano dal premier aperture che non ci sono state. Peggio, alla minoranza guidata da Fassina, Civati, D’Alema e Bersani, e al drappello di ottanta forse cento irriducibili potenziali aventiniani, Renzi ha detto chiaro e tondo che non avrebbe esitato un attimo a proporre la fiducia sul testo e se necessario, in caso di “sorprese” all’interno del Pd, non ci penserebbe su un solo minuto per andare al Quirinale da Mattarella e aprire formalmente una crisi di governo.
Una prospettiva drammatica giudicata “ricattatoria” dalla minoranza dem che tramite Bersani fa sapere che “la questione Italicum è questione di democrazia” lasciando comunque intendere che dal partito non andrà via nessuno, con buona pace del rullo compressore inquilino di Palazzo Chigi.
Quale lettura offre un quadro politico così evanescente e scivoloso? La risposta l’ha offerta, in queste ore, l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che di trame e trattative se ne intende, non c’è dubbio. “Alternative all’Italicum non ce ne sono e indietro non si torna”. Meglio sarebbe stato approvare il Mattarellum dice oggi l’ex presidente che quando era al Quirinale però ha preferito forzare la mano in altre direzioni, tra cui quella di scegliere premier di proprio gradimento (anche se non eletti dal popolo) e condizionare maggioranze e vita di governi secondo i propri gusti.
La verità comunque è un’ altra e, di questo, il Pd nel suo complesso deve farsene una ragione: l’apertura di una crisi di governo in un momento come quello attuale quando timidi segnali di ripresa economica fanno sperare in un futuro meno drammatico non la capirebbe e non l’accetterebbe nessuno, a cominciare dagli italiani stanchi di rinvii, scontri, trappole, distinguo e interminabili trattative che hanno paralizzato tutto e tutti.
Un’ultima considerazione riguarda i retori della difesa della democrazia. Come fanno i Bersani e i D’Alema di turno, una volta disarcionati, a rivendicare il diritto di opporsi a quelle che ritengono scelte autoritarie dimenticando di aver tenuto per decenni comportamenti analoghi a sostegno di una partitocrazia organica e truffaldina che ha lasciato come unica eredità un Paese più debole e più ingiusto prima ancora che più corrotto?
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