Il problema è concreto. Le banche italiane sono gravate da sofferenze, crediti praticamente inesigibili, che al lordo arrivano alla quota impressionante di 189,52 miliardi di Euro. Quasi il 12% del Pil nazionale. La cifra è allarmante, tanto da attirare l’attenzione della Bce, dell’Ue, delle società di rating e degli analisti finanziari delle maggiori banche di investimento, e da aprire una finestra su uno dei prossimi nodi che il governo dovrà sciogliere, come peraltro ha affermato lo stesso Renzi intervenendo alla Borsa di Milano all’inizio del mese: come alleggerire gli istituti bancari da crediti deteriorati di cui solo le sofferenze incidono per il 9,6% su un monte complessivo di 1,908 miliardi di euro di prestiti attualmente concessi.
E proprio intorno a questa domanda, al peso del debito sulle banche e all’ipotesi bad bank si è sviluppato l’incontro ‘Bad Bank? Anche no’ che si è svolto alla Camera dei Deputati su iniziativa del gruppo M5S della Camera.
Il dato eclatante è la crescita delle sofferenze negli ultimi anni, che sono passate dai 42 miliardi di euro del 2008 ai quasi 190 miliardi attuali a parità di crediti erogati. In Europa, l’Italia si attesta al quintultimo posto tra le nazioni con maggiori crediti inesigibili che sono ripartiti, stando agli studi condotti dall’economista Franco Mostacci, per il 72% sulle imprese societarie; per l’8% su quelle a conduzione familiare; per il 17% sulle famiglie e il restante 3% su altre realtà economiche. Significativo il dato sugli importi erogati dalle banche: a pesare maggiormente sulla bilancia i prestiti oltre i 5 milioni di euro, i quali, peraltro, sono aumentati del 450%.
Partendo da questo quadro, Ignazio Visco ha chiesto un intervento da parte dello Stato; l’Abi ha dato il suo placet alle scelte che il Governo opererà e anche la commissione Europea, che continua a tenere sotto controllo l’Italia nel suo percorso di rilancio e di tutela dei conti economici, ha chiesto di accelerare sulla riduzione dei crediti deteriorati.
Per farlo, l’ipotesi che si starebbe valutando è quella della costituzione di una bad bank pubblica che rilevi i crediti deteriorati dalle banche private, alleggerendole delle perdite e consentendo loro di garantire maggiore accesso al credito. Ad oggi, però, non si ha una idea chiara di come si dovrebbe realizzare questo percorso, né con quali soldi rilevare i debiti.
Anzi, proprio per risolvere questa questione e trovare la miglior soluzione, Bankitalia ha deciso di affidarsi a un consulente esterno, la Boston Consulting group, per gestire proprio le sofferenze bancarie. Una operazione dal costo di 379.500 euro Iva esclusa, assegnata senza gara, e con procedura negoziata per l’urgenza che “caratterizza la definizione del progetto”.
Daniele Pesco e Alessio Villarosa, esponenti del M5S in commissione finanze alla Camera, promettono battaglia dura su una ipotesi che vedrebbe il governo provare a utilizzare “i soldi degli italiani per coprire gli errori di gestione degli istituti”.
“Non sappiamo Con quali soldi il Governo potrebbe comprare questi debiti – spiega Pesco – temiamo che le risorse necessarie possano essere prese dalle casse dello Stato, sia in forma liquida sia sotto forma di garanzia”.
M5S è contraria alle “toppe costruite peraltro con le risorse dei contribuenti. Non vogliamo – aggiungono – che siano i cittadini a dover salvare gli istituti che spesso hanno sperperato risorse in favore delle solite clientele e degli amici degli amici”. Soprattutto, “il legame tra sofferenze bancarie, che investono soprattutto i grandi impieghi, e credit crunch, che invece colpisce soprattutto le Pmi, è tutto da dimostrare. Chi ci garantisce che una cartolarizzazione massiccia dei `Non performing loans` faccia ripartire il credito all`economia reale? Servirebbero eventualmente dei vincoli specifici per evitare il ripetersi di quanto successo con operazioni da quasi 2 mila miliardi come le Ltro e le Tltro della Bce”.
Critici anche i consumatori. Per Elio Lannutti, Adusbef, il rischio è quello di vedere dissipate “pubbliche risorse per pagare marchiani errori di valutazioni e lauti pasti dei banchieri”. “Chiediamo una parità di trattamento – afferma – abbiamo visto gente impiccarsi perché le banche hanno negato fidi o chiesto rientri di intere somme in 24 ore” eppure i banchieri hanno “largheggiato con amici e compari, da Zalesky, Zunino, Ligresti, a De Benedetti con Sorgenia, generando una voragine per 190 miliardi di euro”.
“Siamo decisamente contrari, siamo decisamente stanchi di aiutare chi ci vessa” ha puntualizzato Rosario Trefiletti, Federconsumatori.
“Per quale motivo dobbiamo dare uno strumento che può aiutare chi ha dimostrato di non essere in grado di fare il proprio lavoro – ha aggiunto – se il sistema bancario ha aiutato gli amici, ha debiti incagliati è sbagliato dare uno strumento simile, che aiuta ancora una volta le banche. Non vorremmo poi che qualcuno possa sentirsi libero di continuare a chiudere un occhio con gli amici aggirando le regole”.
“Così come delineata, la bad bank è una proposta che non sta né in cielo né in terra”. Per Nino Galloni, economista, il contesto finanziario attuale è regolato da “un capitalismo ultraeconomico, che ha bisogno di debitori, minacce di default, che consentano ai grandi investitori di fare speculazioni massimizzando i profitti. Spending review, tagli, riduzioni servono solamente a peggiorare la situazione del contesto. Separando invece banche di affari da banche commerciali, quindi la finanza dal credito, si creerebbe la condizione per trovare una soluzione interessante e sicuramente più funzionale”.
La soluzione non è evidente, tutt’altro. Il rischio di operare scelte semplicistiche rischia di creare un mostro ancora più grande, e goffo: sostenere le banche private liberandole da un peso di 190 miliardi – i quali peraltro per il 67% circa sulle spalle dei primi cinque gruppi bancari italiani – potrebbe garantire maggiore circolazione di credito per gli utenti finali, tuttavia scaricarli sul sistema Stato, rischiando di assistere a una versione 2.0 della bad company con la quale si è tentato di salvare Alitalia, sarebbe un sistema non utile ai conti pubblici, che anzi metterebbe a repentaglio la sostenibilità dei conti “per salvaguardare la poltrona di azionisti e manager di grandi banche”, hanno osservato i 5 Stelle che guarderebbero con più convinzione a “un’eventuale soluzione di mercato” che “deve essere frutto dell’azione esclusiva, magari coordinata, degli stessi istituti”.
Il percorso, però, deve vedere a monte una separazione chiara tra banche di affari, quelle che operano in finanza, e quelle commerciali, dove le famiglie tengono i propri risparmi. Una operazione che, per gli addetti ai lavori, non dovrebbe essere così lontana dalla realtà. Il precedente illustre è il Glass – Stegal Act, Una legge bancaria americana datata 1933 in risposta agli effetti sugli istituti di credito della crisi del 1929. Il presupposto era quello di separare chi faceva trading da chi invece gestiva il risparmio. Lo scopo era evitare che il fallimento dell’una provocasse il fallimento della banca tradizionale e impedire esposizione dirette dell’economia reale ai pericoli delle operazioni prettamente finanziarie.
Per la cronaca, la Glass – Stegal venne abrogata nel 1999. La crisi del 2007 legata ai mutui sub prime americani è stata a la diretta conseguenza della mancanza di un sistema di protezione dell’economia reale. Come dire che la storia ha insegnato ben poco quando di mezzo c’è il super business dell’iperfinanza del sistema bancario speculativo, unico vero padrone di mercati monetari ed economia reale. Come dire l’unico vero, pericolosissimo padrone del pianeta.
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