Il discorso sull’eutanasia, anche nei momenti in cui la cronaca non ce ne riferisce casi di scottante attualità, ci trova sempre coinvolti, a volte confusi, comunque mai indifferenti. Ma perché questo tema cattura così tanto il nostro interesse, anche quando non ci troviamo nella necessità di dover assistere una persona cara in gravi condizioni? Si potrebbe dire che dipende dal fatto che la salute è un argomento sempre attuale. Ma il discorso sull’eutanasia va molto al di là, perché implica una serie di riflessioni sulla vita che forse contano per noi ancor più della sua stessa fine, perché la morte, con tutto il portato di dolore, fa indissolubilmente parte dell’esperienza umana.
Di qui non solo dibattiti e chiacchiere accesi dai media, ma anche studi e sentenze delle diverse Corti d’Europa che si rimbalzano l’un l’altra interpretazioni e risoluzioni. Giovanna Razzano, docente di Istituzioni di Diritto Pubblico e Privato all’università romana Sapienza, si è immersa con coraggio nel fiume delle diverse prospettive e ha affrontato il tema dell’eutanasia con ordine e lucida chiarezza. Frutto del suo lavoro è un testo dal titolo “Dignità nel morire, eutanasia e cure palliative nella prospettiva costituzionale” presentatodue giorni fa nell’aula Calasso, presso la Facoltà di Giurisprudenza della Sapienza. Presenti all’evento erano il Magnifico Rettore della Sapienza, Eugenio Gaudio, che ha introdotto il tema, Renato Balduzzi, ordinario di Diritto costituzionale, nonché già ministro della salute, e Carlo Peruselli, medico palliativista e presidente della società italiana delle Cure Palliative.
A cominciare dal complicato discorso sull’eutanasia attiva e passiva, passando per la necessità di dedicare spazio e importanza nella formazione medica alla disciplina poco nota delle cure palliative, gli interventi di presentazione hanno messo bene in evidenza le certezze su cui lo studio del diritto in questo ambito può e deve poggiare.
Se un tempo l’aspettativa di vita era limitata a 49 anni, un bambino nato oggi si prevede possa tranquillamente arrivare a vivere per i prossimi 102 anni. Questo dato, per quanto positivo, pone la medicina, così come l’intera struttura della società moderna, di fronte alla necessità di trattare la malattia, più che dal punto di vista acuto, nella sua forma cronica, con tutte le conseguenze in termini economici e di assistenza che il dato comporta. Il cambio di prospettiva è notevole e per questo si fa urgente la necessità di chiarire come debba intendersi il tema della qualità della vita. In mezzo al mare magnum delle opinioni il testo, sposando le prospettive della Società Italiana di Cure Palliative, sostiene la posizione di un equilibrato incontro tra la soggettività di quanto il paziente vive e percepisce e le possibilità offerte dai moderni trattamenti sanitari, anche palliativi, ponendo grande attenzione alla proporzionalità della cura. In sostanza né più né meno rispetto a quanto già affermato dall’articolo 32 della Costituzione italiana e nel pieno rispetto della persona umana.
D’altro canto, spiega il professor Balduzzi, l’esigenza primaria è quella di riuscire a giungere ad una chiarezza nell’uso dei termini, obiettivo che, secondo l’ex-ministro, è stato pienamente raggiunto dall’autrice del testo. Senza perdersi in sofismi che confondono, il problema della dignità della vita si esaurisce e risolve tutto nell’etica della relazione medico-paziente in cui l’oggettività della scienza si incarna nella soggettività della persona assistita. Sostiene il professor Balduzzi: “Nessuno può dare risposte assolute, ma al tempo stesso nessuno può esimersi dal porsi domande”.
Questo testo pertanto ricorda quanto sia indispensabile che l’uomo non interrompa la riflessione su tali temi, tanto nell’ambito del diritto quanto nell’ambito della medicina. E di fronte alle incertezze poste dalla conoscenza medica il vero progresso, conclude Giovanni Salmeri (presidente del Corso di laurea in Filosofia, Università di Roma Tor Vergata), può essere raggiunto solo ponendosi nella prospettiva di un positivo pregiudizio sull’uomo e sulla vita. Perché nel momento in cui si dovessero spegnere gli interrogativi rimarrebbe solo l’amara percezione di un’ingiustizia.
Vania Amitrano
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