La legge sulla rettificazione dell’attribuzione di sesso (L. 14.4 1982 n. 162) attualmente non è più sufficientemente chiara in merito alla necessità dell’operazione chirurgica quale requisito indispensabile per ottenere un cambiamento di sesso anagrafico. Così la Corte di Cassazione lo scorso 20 luglio ha accolto il ricorso di uno degli avvocati di rete Lenford, avvocatura per i diritti LGBTI, sul caso di un trans che da 10 anni chiedeva “la rettificazione dei propri caratteri anagrafici senza sottoporsi all’intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali primari al genere femminile”.
Nel 1999 il trans aveva chiesto l’autorizzazione a sottoporsi ad un intervento di chirurgia per la modificazione definitiva dei propri caratteri sessuali per passare da quelli maschili a quelli femminili. Tuttavia, per paura di incorrere in complicazioni di natura sanitaria, non aveva mai proceduto all’intervento. Nel frattempo però sosteneva di aver raggiunto un’armonia con il proprio corpo tale da farlo sentire donna a prescindere dal cambiamento di sesso. Pertanto da anni chiedeva che gli fosse riconosciuto il cambiamento di sesso anagrafico anche senza intervento chirurgico. Il Tribunale glielo aveva negato. Ma l’avvocato di rete Lenford, nel ricorrere alla Cassazione, ha fatto appello al diritto fondamentale della persona al benessere, all’autodeterminazione e al rispetto dell’articolo 32 della Costituzione Italiana che prevede che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Il reclamante ha sostenuto di aver modificato definitivamente i suoi caratteri sessuali secondari attraverso diversi interventi di chirurgia estetica e la somministrazione di ormoni femminili, al punto di aver assunto perfettamente le sembianze esteriori di una donna. La questione però resta. L’aspetto esteriore e l’identità sessuale percepita sono certamente sufficienti al soggetto per sentirsi davvero in un modo, tuttavia nell’ambito delle intricate regole civili la mancata corrispondenza tra sesso biologico e sesso anagrafico comporta difficoltà nella gestione del diritto e ambiguità di non facile gestione in una comunità più ampia.
La Corte di Cassazione ha preferito però porre l’accento sui “diritti costituzionali inviolabili che compongono la determinazione personale verso il mutamento di genere”, quindi sulla priorità dei diritti del singolo rispetto alla comunità, ed ha accettato la domanda di rettificazione di sesso da maschile a femminile del trans con le consequenziali annotazioni anagrafiche.
Da qualunque prospettiva si guardi la faccenda su un punto ha sicuramente ragione il deputato del PD Lo Giudice: “L’inerzia del Parlamento sui diritti civili sta trasformando l’Italia in un paese di common law: le regole sul riconoscimento dei diritti le definiscono i tribunali, mentre il Parlamento assiste muto e inerte all’ennesimo smacco per la politica nazionale“.
Vania Amitrano
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