L’Assemblea generale dell’ONU ha approvato a larga maggioranza una risoluzione contro il traffico di fauna selvatica.
La decisione arriva a pochi giorni dallo scandalo dell’uccisione del leone Cecil da parte del dentista americano Walter Palmer nel parco nazionale di Hwenge, in Zimbabwe, e conferma l’esigenza di opporre risposte globali a “crimini di natura transnazionale e organizzata”.
Si tratta di un traffico milionario, che assume le forme del bracconaggio e del mercato nero di animali o di parti di animali selvatici. Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno, può essere utile ricordare che lo scorso giugno un’operazione di polizia internazionale battezzata “Cobra III” ha portato al sequestro di 11 mila esemplari vivi o morti di specie animali protette, dodici tonnellate di avorio d’elefante, 119 corni di rinoceronte e almeno sei tonnellate di materiale di origine vegetale, soprattutto legname. È il sequestro più grande nella storia della lotta al traffico clandestino di animali.
A sottoporre il testo all’organo che rappresenta tutti gli Stati membri dell’ONU sono stati Gabon e Germania, ma la bozza ha avuto il sostegno attivo di una settantina di altri Stati, fra cui l’Italia.
Come tutte le raccomandazioni che l’Assemblea rivolge agli Stati, neanche questa è vincolante, cioè non ha il potere di creare obblighi a loro carico. In compenso, li incoraggia a “fare passi decisivi a livello nazionale per prevenire, combattere e sradicare il commercio illegale di fauna selvatica”.
Fra le raccomandazioni contenute nel testo compaiono il rafforzamento dei procedimenti giudiziari e delle forze dell’ordine, e il coinvolgimento delle popolazioni locali nel contrasto ai traffici illeciti, anche attraverso un potenziamento dei loro diritti e della loro capacità di trarre beneficio legalmente dalla loro terra.
Idealmente, gli Stati dovrebbero dar modo alle popolazioni di non lavorare più per le multinazionali dei commerci illeciti, che a tutt’oggi contano di loro come bacino di manodopera e rete di contatti. Un valido esempio di questa collaborazione che si vuole stroncare è il ruolo di due cittadini dello Zimbabwe, il cacciatore Theo Bronkhorst e il proprietario di un appezzamento confinante con il parco, Honest Ndlovu, nella vicenda dell’uccisione del leone Cecil ricordata in precedenza.
Al Segretario generale dell’ONU toccherà la responsabilità di presentare in Assemblea una relazione annuale sui crimini contro la fauna selvatica e sull’attuazione della risoluzione da parte dei vari Stati.
La risoluzione di oggi “segna una nuova fase nella lotta contro il crimine che danneggia la fauna selvatica, una minaccia che colpisce sempre più non solo innumerevoli specie, ma mette sempre più a rischio la sicurezza nazionale e lo sviluppo sostenibile di interi Paesi”, ha dichiarato il Direttore generale del WWF internazionale, l’italiano Marco Lambertini.
F.M.R.
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