Si chiude domenica 30 agosto l’esposizione dell’opera sperimentale “Neoplasia” dell’artista barcellonese di adozione romana Fabrizio Cicero presso l’Associazione culturale “Tralevolte”, a Roma, nella splendida ambientazione dei giardini di Porta San Giovanni.
Una scultura aerea, di carta, verticale, tridimensionale, materiale e insieme virtuale, “sospesa”, in senso fisico e metafisico. Un singolo, sintesi di un percorso evolutivo intellettuale e immaginifico, che ha un punto di svolta nell’esperienza di dolore del virtuoso siciliano per la perdita della madre rapita dal “male nero”. La malattia, la degenerazione, la decadenza e la nascita si fanno ispirazione artistica, anzi, opera d’arte. Forme geometriche in movimento, che si rincorrono, si abbracciano, si incastrano, si scontrano, fino a formare un’entità dotata di vita propria, con una origine e un destino nel Tutto al quale apparteniamo. La matematica è il viatico per inoltrarsi tra i sentieri più nascosti della natura, nel segreto dei segreti, che è il respiro vitale. In un viaggio di conoscenza, d’amore e di libertà dai vincoli fisici, culturali e psichici, alla scoperta dell’oscuro, dell’invisibile, del segreto.
“Neoplasia”: un nome che inquieta e affascina, per un’opera gigantesca che pesa soltanto quattro chili. Sembra una spirale di Dna con spigoli e fratture irregolari. Poi, un’astronave misteriosa, che trasporta le risposte alle domande drammatiche dell’esistenza umana. Poi, è una roccia animata di luci e ombre dall’interno. Cambia identità e funzione a seconda della prospettiva. E sembra quel che è, quel che il nome dice che sia: una nuova forma che nasce dalla trasformazione, dall’informazione, dalla deformazione, nel gioco inevitabile di vita e di morte, di un puzzle di luci e ombre con infinite tessere. L’arte, per Fabrizio Cicero, è un dialogo con la natura, con la realtà multidimensionale del vivente, e insieme rappresentazione e scenografia del dramma complesso del vivere.
Cicero, la tua opera, potremmo definirla una ricerca nella memoria profonda, collettiva e personale, alle sorgenti dell’umanità?
«Potremmo definirla così. L’idea dell’opera si modifica mentre la eseguo. La mia è una ricerca stilistica, di tridimensionalità a partire dal disegno, dalla matita su carta, in forme geometriche e volumi. Inizialmente, erano forme regolari, un insieme di triangoli. Poi, ho montato male un triangolo e la forma è impazzita, proprio come una cellula tumorale. L’opera ha preso nuova forma propria, suggerita forse anche dal mio inconscio. La morte di mia madre, quasi due anni fa, per tumore, mi ha segnato. L’opera è per l’artista ciò che il laboratorio è per lo scienziato, luogo di esperimento».
La carta, materia vitale e forma di vita, è il tuo strumento di contatto e di dialogo…
«Sì, la carta è un mezzo versatile e flessibile, con tante sfaccettature. Con “Neoplasia”, torno alla carta, ai primordi della concezione artistica e della mia espressione giovanile. Mio padre era un eccellente disegnatore su carta. La carta è una matrice forte. Significa leggerezza e delicatezza e insieme forza. E così è “Neoplasia”: a prima vista, sembra enorme, pesante, massiccia, marmorea. Invece, da un triangolo di carta di 10 cm ha preso vita questa figura di 1.300cm per soli 4kg di peso».
“Neoplasia” è un nome ambiguo, volutamente equivoco, credo, ricco di significati contrastanti e inestricabili, positivi e negativi: “nuova formazione”, ma anche, decomposizione…
«Inizialmente, temevo che questo termine potesse incutere paura, che risultasse pesante, soffocante. Volevo evitare la parola “tumore”. Ma, questa è la complessità della vita nel rapporto con il lato oscuro della morte. Quest’opera rappresenta un momento importante, nella mia esperienza personale, dopo la morte di mia madre, e di artista, che ha la missione di rischiare e andare oltre nella ricerca della realtà e nello sguardo sul mondo libero da ideologie e compromessi».
All’Expo di Milano c’è esposto un tuo progetto?
«Sì, il progetto di una residenza artistica a Noto, presso la Tenuta “La Favola”, il prossimo dicembre, con altri colleghi».
Emanuela Bambara
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