La Russia è la prima potenza a inviare truppe di terra in Siria. A Latakia, il primo porto siriano sul Mediterraneo, sarebbe atterrato un piccolo contingente di fanteria navale, sbarcato dagli aerei cargo che fanno la spola tra Russia e Siria per fornire equipaggiamento tecnico e militare al governo del presidente Bashar al-Assad.
La notizia, anticipata la scorsa settimana da fonti israeliane, è stata confermata oggi dai media libanesi: “elementi di fanteria navale russa” sarebbero intervenuti “a sostegno dell’esercito siriano”. Anche se per ora si tratta di “interventi limitati”, non è escluso che questo impegno possa aumentare.
Oltre agli Antonov-124 “Condor” partiti dalla Russia, all’aeroporto internazionale di Latakia – intitolato a Bassel al-Assad, fratello di Bashar ed erede designato alla presidenza prima di lui, scomparso in un incidente nel 1994 – sono stati avvistati almeno due cargo della compagnia privata iraniana Mahan Air, che gli USA hanno già accusato in passato di trasportare uomini e mezzi della “Brigata al-Qods”, braccio armato dei pasdaran fuori dai confini dell’Iran.
Mosca minimizza: “Non abbiamo mai nascosto la nostra cooperazione tecnico-militare con la Siria”, ha commentato Maria Zakharova, portavoce del ministro degli Esteri Sergej Lavrov. “Da tempo forniamo armi ed equipaggiamento militare alla Siria nel rispetto dei contratti e delle leggi internazionali”.
La portavoce ha ammesso che Mosca ha inviato in Siria degli esperti di lotta al terrorismo, ma ha tenuto a ricordare che la presenza di personale militare russo in Siria è normale: a Tartus, secondo porto del Paese mediorientale, i russi gestiscono una base navale che ospita la loro flotta mediterranea.
Parla di “esperti” anche Abu Zalem, un responsabile militare di Hezbollah che si occupa del reclutamento in Libano di miliziani da schierare in Siria a fianco di Assad: “In Siria non abbiamo bisogno di truppe da Mosca e Teheran, ma di strateghi”. Abu Zalem ha anche formulato una previsione sull’andamento della guerra: “Continuerà, sarà lunga”.
Secondo il quotidiano russo Kommersant, invece, le forniture arrivate oggi in Siria comprendono armi leggere, lanciagranate, ma anche mezzi blindati di ultima generazione BTR-82A e camion militari Kamaz, il che lascia supporre che il presidente Vladimir Putin intenda quantomeno dare un contributo decisivo agli sforzi dell’amico Assad nella guerra civile che si trascina da più di quattro anni.
“Quanto sta avvenendo può avere conseguenze per noi”, commenta Ram ben Barak, direttore generale del ministero dell’Intelligence israeliano. Si riferisce fra le righe alla lotta contro Hezbollah, che Israele conduce anche attraverso azioni in territorio siriano. Amos Gilad, consigliere del ministro della Difesa di Tel Aviv Moshe Yaalon, ammette che i russi “stanno costruendo le capacità operative sul territorio”, ma “è presto per conoscerne le dimensioni”. “I russi non sono nostri nemici”, ricorda in ogni caso Gilad, “e abbiamo modo di comunicare”. Intanto, secondo quanto rivela il quotidiano moscovita Vedomosti, il Cremlino ha acquistato dodici droni di fabbricazione israeliana per circa 400 milioni di dollari.
Sulle reali intenzioni del Cremlino, in questo momento si possono solo fare ipotesi. Per l’esperto di geopolitica mediorientale Robert D. Kaplan, Putin vorrebbe “assicurarsi il controllo della costa alawita – cioè il tratto di costa mediterranea compreso nei confini siriani, dove risiede la minoranza religiosa alawita, di cui fa parte la famiglia Assad – nel lungo termine”, indipendentemente dagli esiti della guerra civile. Per questo obiettivo sarebbe fondamentale controllare la base navale di Tartus e l’aeroporto di Latakia. Kaplan sostiene che la costa siriana si possa trasformare in una sorta di enclave russa in Medio Oriente, utile per proiettare la propria potenza militare nel teatro regionale da vicino, in modo non troppo diverso dalla Crimea.
La linea ufficiale, ripetuta da Lavrov, è che la Russia vuol fare tutto il possibile per evitare che dalla guerra civile esca una Siria disintegrata e ridotta all’anarchia, come è accaduto alla Libia. “La minaccia proveniente dallo Stato islamico è evidente – ha sostenuto oggi il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov: “L’unica forza capace di resistere sono le forze armate siriane”, cioè quella parte di esercito ancora schierata con Assad.
La comunità internazionale, sostiene ancora Peskov, dovrebbe coinvolgere il presidente siriano negli sforzi per combattere l’ISIS. Putin lo ripeterà di persona verso fine mese, quando parlerà davanti all’Assemblea Generale dell’ONU.
Tutto il contrario di quanto sostengono gli USA, e di riflesso la NATO. Secondo Eric Schultz, un portavoce della Casa Bianca, l’amministrazione americana accetterebbe di buon grado un contributo russo alla lotta contro l’ISIS, ma “sostenere il regime di Assad sarebbe inconcepibile”. I rapporti fra Mosca e l’Alleanza atlantica sono tornati glaciali a causa della crisi ucraina, dopo che la Crimea, la scorsa primavera, è stata annessa alla Russia.
“Un intervento russo non contribuisce a risolvere il conflitto”, ha dichiarato il Segretario generale NATO Jens Stoltenberg, convinto che “ogni sforzo debba essere concentrato sulla ricerca di una soluzione politica”. “Qualunque forma di sostegno al regime di Assad avrebbe l’effetto di amplificare il conflitto”, ha proseguito l’ex premier norvegese.
L’azione russa ha preso in contropiede l’Alleanza, che aveva già programmato per domani l’apertura di un vertice del Comitato militare a Istanbul. Per nulla casuale la scelta della Turchia, che, oltre a confinare con la Siria, si trova al crocevia degli equilibri strategici fra Europa orientale, Europa occidentale, Mediterraneo e Medio Oriente.
La posizione più delicata è quella di Grecia e Bulgaria, due membri della NATO che finora avevano permesso ai velivoli russi di passare per il loro spazio aereo. Oggi, su pressioni americane, la Bulgaria ha ritirato l’autorizzazione, ma poi è tornata in parte sui suoi passi, dichiarandosi pronta a concedere di nuovo il sorvolo se la Russia accetterà ispezioni sui carichi negli scali bulgari.
Nel frattempo, però, il ponte aereo dalla Russia aveva cominciato a seguire una rotta diversa, sorvolando l’Iran. Un’altra testimonianza – qualora ce ne fosse ancora bisogno – che in nome del sostegno al governo di Assad, Mosca e Teheran sono pronte a fare fronte comune.
Anche nella UE gli sviluppi della vicenda generano una certa apprensione. “Non può essere che adesso partner importanti, di cui abbiamo bisogno, giochino la carta militare”, ammonisce il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier. Tornare a trattare con l’Iran sul programma nucleare, ricorda Steinmeier, è stato “il punto di partenza per una soluzione politica del conflitto in Siria”.
Ma non tutti gli alleati sembrano avere intenzione di seguirlo. Oggi il Guardian ha pubblicato un piano strategico sottoscritto dal premier britannico, David Cameron. Il piano è composto da due parti: un’iniziativa diplomatica – intrapresa “con la benedizione della Russia e della Cina” – che porti a un governo di unità nazionale, in cui “a Bashar al-Assad sarà concesso di restare presidente per un periodo di transizione” di sei mesi al massimo, e un intervento militare “limitato” che si serva di raid aerei mirati per eliminare “le menti” dell’ISIS. Sul piano di Cameron incombe però l’incognita del voto parlamentare: due anni fa, quando l’autoproclamato Califfato non preoccupava ancora l’Occidente e si riteneva che la minaccia principale fosse il regime di Assad, il premier aveva presentato una proposta analoga – bombardare le postazioni dei lealisti – che la camera dei Comuni bocciò senza appello.
“Spero che le notizie sulla presenza russa siano meno gravi di quanto appaiono”, ha commentato il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni. Se Mosca “avesse l’illusione di risolvere manu militari il tema della difesa di Bashar al-Assad – ha proseguito il ministro – questa sarebbe la complicazione di un quadro già molto complicato”, uno “sviluppo negativo”.
Filippo M. Ragusa
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