La rivincita del Pipita: può salutare con la "manita"
Passa in archivio la quarta giornata della serie A e ci consegna una classifica che vede una sola squadra al comando, la rivisitatissima Inter di Roberto Mancini, ancora a punteggio pieno. Un ottimo viatico per i tifosi nerazzurri che, però, numeri alla mano, faranno bene a incrociare le dita visto che ogni volta che tale circostanza si era verificata (1960/61, 1966/67, 1997/98, 2002/03, e anche in occasione dell’anomalo campionato Alta Italia del 1945/46) mai avevano potuto festeggiare il tricolore. La squadra, al momento, non incanta affatto, anzi. Ma sfoggia un cinismo estremo, capitalizzando al massimo il non molto che produce e difendendo, a volte tra mille sofferenze, gli esigui vantaggi conquistati. Anche a Verona, contro un Chievo in forma smagliante, l’Inter ha faticato non poco ma grazie al primo squillo stagionale di Mauro Icardi ha portato a casa la posta piena. Indubbiamente, non sempre sarà possibile mantenere quest’andatura giocando un calcio così episodico, ma è lecito pensare che Mancini, potendo preparare una sola gara a settimana, senza l’onore e l’onere degli impegni europei, non potrà che migliorare le prestazioni della fuoriserie che Thohir gli ha messo a disposizione. In ogni caso, sarà bene considerare i nerazzurri già una cosa seria (in netto anticipo sui tempi di collaudo che in molti stimavano sarebbero stati piuttosto lunghi) e tra i papabili allo scudetto.
Totti mostra le tre dita a indicare i 300 gol ma l’entusiasmo attorno è contenuto
“Solo” in quarta posizione quella che è da considerarsi, a nostro sommesso avviso, l’indiscussa favorita del torneo, la Roma. Un organico già ricchissimo di qualità e quantità, ulteriormente rafforzato da un mercato estivo a cinque stelle che, di stelle, ne ha portate almeno due in dote a Rudi Garcia: Salah e, soprattutto, Dzeko che, sena voler nulla togliere al talento e alla velocità dell’egiziano, dovrebbe riuscire a colmare l’atavica assenza di un n. 9 di ruolo. In realtà, l’avvio di stagione, al netto del franco successo sulla Juventus (madre di tutte le partite finchè si vuole ma contro una squadra che, oggettivamente, si è parecchio indebolita) e dell’eroica difesa del fortino contro il Barça (prestazione inappuntabile sul piano della concentrazione, ma neppure giudicabile come cifra di gioco espressa), ha stentato parecchio: tra Verona e Frosinone quattro punti sono stati anche troppa grazia. Contro il Sassuolo (al terzo pareggio in tre trasferte all’Olimpico giallorosso), la conferma che le individualità ci sono tutte ma il collettivo ancora stenta a carburare. Più che ad un giro palla veloce, infatti, la squadra si affida a lanci lunghi per innescare le proprie punte, queste sì velocissime. Ma da tanta abbondanza sarebbe lecito attendersi qualcosina in più. Anche sul piano dei singoli, comunque, qualcosa da registrare, soprattutto, dietro, ci sarebbe. Rudiger mostra limiti tecnici e di dinamicità evidenti, Gyomber, se Garcia ancora non lo ha provato viene il sospetto che un motivo ci sia, mentre Manolas sta manifestando impacci in impostazione che ancora non si conoscevano. Urgerebbe un recupero alla piena efficienza di Castàn, l’unico difensore di ruolo in grado anche di impostare, senza dover ricorrere al lancio lungo. Nell’attesa, meglio riprendere quanto prima l’esperimento di De Rossi centrale. Contro l’ottima squadra dell’ex Di Francesco non ha pesato affatto la fatica di mercoledì (perchè trascorrere 90 minuti a correre dietro un pallone manovrato da altri è più faticoso che farlo girare), tanto che Garcia ha cambiato ben 6/11 della squadra che aveva impattato con i catalani. Semplicemente, i sostituti non si sono dimostrati all’altezza dei sostituiti. A cominciare da un Maicòn ormai in caduta verticale. Ma al di là di queste annotazioni tecnico/tattiche, si è trattato, e non è la prima volta, di una prova trasudante presunzione. Un limite che un ambiente molto umorale come quello romanista non può assolutamente permettersi. A proposito di “subentrati”, a rimettere in carreggiata la Roma dopo il primo schiaffone è stato Francesco Totti, prossimo alle 39 primavere, e autore, sia pure con la fattiva collaborazione di Consigli (un obbrobrio il suo rinvio), del guardalinee Vivenzi (chilometrico il fuorigioco del capitano giallorosso) e della buona sorte (la conclusione, “ciabattata”, ha impresso alla sfera un effetto davvero maligno), del suo gol n. 300, tra tutte le competizioni disputate con l’unica maglia della sua vita (oltre a quella della nazionale ma le reti con la quale esulano dal conteggio), quella giallorossa. Un traguardo che, in un diverso frangente, sarebbe stato salutato con inni e peana ma che la mancata vittoria ha relegato a mera curiosità statistica. Nessuno ha voluto celebrare. Totti per primo. Segnale di maturità e di consapevolezza per un’occasione persa (ma va comunque dato atto al Sassuolo di aver giocato un eccellente calcio, a viso aperto, almeno finchè ha potuto), diranno alcuni; indice di un pessimismo figlio della solita isteria del momento, ribatteranno altri. Al campo il verdetto.
Il 31 maggio Napoli-Lazio era finita con l’apoteosi laziale
In serata, il big match Napoli-Lazio. Che, in realtà, si farebbe una gran fatica a considerare anche solo “un” match. Perchè di una partita non si è trattato. Piuttosto di un massacro conclusosi con un punteggio quasi tennistico e che si è svolto secondo il canovaccio tipico di una prova di slalom speciale dove i furetti del Napoli erano gli sciatori e i marmorei laziali i paletti. Un grande Napoli come non si vedeva dal 2-0 casalingo alla Roma del novembre scorso con un Insigne straordinario uomo ovunque e un Higuaìn che, in una sola notte, ha fatto dimenticare ai tifosi partenopei le tante amarezze che gli aveva riservato la scorsa stagione, specie dagli 11 metri. Ma anche e soprattutto una Lazio inguardabile che ha concesso ai padroni di casa qualunque giocata. Giù di tono (“Non è un problema di gambe, ma di testa”, ha spiegato capitan Mauri a fine gara, ma ci sembra che un problema di condizione atletica ci sia eccome, senza tralasciare anche il resto); senza idee, con in mezzo al campo il povero Onazi a dover fare le veci di Biglia (ed è evidente la differenza, come lo sarebbe anche con Cataldi che, però, a seguito di quest’ennesima bocciatura, è ormai divenuto ufficialmente un “caso”) senza averne tecnica, velocità con la palla tra i piedi (quella lanciata in campo aperto è fuori discussione) e, soprattutto, con il pensiero; lunga in campo con i due davanti (ieri Matri e Keita) isolati e con Mauri incapace di garantire sufficiente raccordo; con una difesa ancora una volta impresentabile. Hoedt, si è capito, non sarebbe neppure malaccio ma un battesimo del fuoco come quello con l’Higuaìn indiavolato di ieri sarebbe stato insostenibile per chiunque, figuriamoci per chi sta iniziando ora a capire cosa sia il calcio italiano (non esattamente l’Eredivisie). Fermi restando un paio di reti almeno (le prime due, cioè le più importanti) sulla coscienza del giovane olandese. Si rimpiange persino il De Vrij di questi ultimi, bassissimi tempi. Da salvare solo la voglia di Basta di proporsi nelle uniche occasioni in cui la Lazio ha fatto capolino nell’area avversaria e, ovviamente, Federico Marchetti, senza il quale il punteggio finale sarebbe stato da tie break tennistico. Anche in questo caso, però, le considerazione di ordine tecnico/tattico contano sì, ma fino ad un certo punto. Come anche le assenze illustri, non da ultimo quella di Candreva. Ciò che colpisce è vedere come la squadra biancoceleste abbia completamente perso quella velocità d’esecuzione che era stata il marchio di fabbrica di Pioli nella scorsa primavera. E’ stato chiaro dopo pochi minuti (e la facile segnatura fallita in avvio da Keita non avrebbe cambiato di un’unghia l’inerzia del match e con essa il suo epilogo) che non poteva esserci gara tra una squadra aggressiva, intensa e dinamica come il Napoli a fronte di una squadra statica e pesante come la Lazio di ieri (ma non solo ieri). Si tratta, anche in questo caso, di due ambienti piuttosto volubili, ma se è vero che un Napoli rinfrancato dopo un inizio decisamente negativo in campionato dal tonico-Bruges di giovedì, il beffardo pari subito dalla Lazio in Ucraina deve aver ulteriormente depresso il morale di un ambiente che dopo Leverkusen aveva già visto svanire il traguardo più importante della stagione. Pensare che proprio Napoli aveva coinciso con i due momenti più felici della splendida galoppata dei ragazzi di Pioli in Coppa Italia e campionato. Pochi mesi fa, non di più. Eppure le immagini del gol di Lulic o della corsa ebbra di gioia di Onazi sembrano oggi in bianco e nero. Il tira e molla estivo con Mauri, il peregrinare della fascia di capitano, i “mal di pancia” di Biglia, la latitanza della dirigenza in chiave-mercato e i conseguenti mugugni della tifoseria, qualche infortunio di troppo (a proposito, ma Biglia non era previsto tornasse in campo proprio al S.Paolo? Misteri della Paideia…) possono essere concause. Quanto al tecnico, Stefano Pioli, ha sbagliato tutto il possibile e anche più nella notte di Leverkusen, ma ieri, a parte l’ostracismo a Cataldi (ma ormai è chiaro che tra i due vi sia il gelo…) e l’inserimento tardivo di Felipe Anderson (comunque lontano parente dell’esterno ammirato lo scorso anno), almeno lui non ha commesso errori determinanti, nonostante molta stampa specializzata oggi dica il contrario. Fatto sta che al S. Paolo, le parti, tra le due squadre, si sono clamorosamente più che invertite (l’anno scorso, peraltro, fu il Napoli a steccare nel preliminare di Champions e a pagare lo scotto della delusione e anche lì molto si criticò la dirigenza per aver arrestato il mercato in attesa della certezza dell’acceso ai gironi, ndr) : il ciuccio si è mostrato feroce come un’aquila e gli aquilotti si sono comportati…da ciucci.
…ieri è finita così
Ultima annotazione, ci fa più che piacere dedicarla all’attuale seconda in classifica, il Torino. La società granata, dopo anni di feroci contestazioni riservate ad Urbano cairo, colpevole di cedere ogni anno i pezzi più pregiati dell’argenteria di casa, quest’anno ha condotto la campagna di compravendite estiva migliore della serie A (unitamente alla Roma, per l’Inter si vedrà poi). Tanti giovani acquistati (Zappacosta, Belotti, Baselli, Acquah più Avelar che però è ampiamente sotto i 30 anni), la volontà ferma di resistere alle sirene giallorosse e partenopee per Bruno Peres e Maksimovic, un’unica cessione eccellente, ma inevitabile: quella di Darmian al Manchester United. Ma venduto benissimo e senza rinforzare una diretta concorrente. Al momento, è la sorpresa del campionato. Verosimilmente, lo sarà anche a maggio.
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