Insigne doppietta, per il Milan è l'inferno
E alla 7° giornata il campionato ebbe inizio. Quello delle big, perlomeno. Juventus, Roma, Lazio, Fiorentina, Napoli, tutte hanno portato a casa i tre punti. All’appello sono mancate solo le due milanesi, ma se per l’Inter il pareggio di Marassi contro un’ottima Samp è da accogliere come un risultato affatto disprezzabile (e anche non del tutto atteso, per come si stava incanalando il match), il Milan ha dimostrato che il peggio in casa rossonera non era stato ancora mostrato agli occhi dei tanti tifosi del Diavolo che meriterebbero maggior rispetto da parte, soprattutto, di una società che, a partire dallo scudetto del 2010/11, ha fatto l’impossibile per disintegrare il giocattolo.
Senza indugiare troppo sui riferimenti statistici che volevano mai i rossoneri sconfitti con un passivo così pesante dal Napoli (in assoluto, ma tantomeno a S. Siro) e battuto, nel girone unico, con un punteggio più umiliante tra le mura amiche solo nel lontano 1996/97 (1-6 con la Juve), quella del Milan è stata una Waterloo senza attenuanti. Alle colpe della dirigenza, autrice di una campagna acquisti inutilmente dispendiosa per acquisire giocatori o non all’altezza o comunque sovrastimati (Romagnoli ripetutamente accostato a Nesta per tutta l’estate è stato il caso mediaticamente più eclatante, i 20 milioni spesi per Bertolacci l’operazione economicamente più abnorme in rapporto alla qualità del giocatore e a Roma ancora si fregano le mani…), vanno aggiunte quelle di un tecnico, Mihajlovic, preso per dare un gioco o, quantomeno, un’anima ad un organico reduce dalla deriva “inzaghiana”. Non si è visto nè l’uno nè l’altro. E pensare che nella sede nuova di zecca di via Aldo Rossi, si era a lungo pensato a Maurizio Sarri come all’uomo del nuovo corso, salvo virare sul profilo più accattivante e meno “pane e salame” dell’ex tecnico blucerchiato. Anche a Napoli stanno ridendo di gusto… E anche Pippo, pur con il sangue striato di rossonero, sotto sotto, qualche sassolino sta cominciando a toglierselo, visto che il “suo” Milan aveva fatto, sin qui, 5 punti in più di quello attuale. Infine, i giocatori, i meno responsabili perchè oggettivamente modesti (centrocampo e difesa su tutti) ma certamente non così scarsi come apparso domenica sera.
Dall’altra parte, un Napoli che ha sciorinato l’ennesima prestazione monstre del suo reparto offensivo, ormai un incubo per tutte le retroguardie, in Italia come altrove. Merito anche di Sarri che ha messo in soffitta il 4-2-3-1 di Don Rafaè (molto simile, per caratteristiche dei suoi interpreti, ad un 4-2-4 che si poteva permettere il Brasile di Svezia’58 e quasi nessun altro…) per affidarsi ad un più razionale 4-3-3 che non lasciasse in costante affanno i due malcapitati a centrocampo. Merito anche della rabbiosa voglia di riscatto di quel fuoriclasse che risponde al nome di Higuaìn, uscito a pezzi da una stagione che lo aveva visto calciare alle stelle i due penalties costati il preliminare di Champions ai partenopei e la Copa America all’albiceleste. Ieri non ha segnato, ma non se ne è quasi accorto nessuno, stante l’imprinting evidente impresso alla sfida. Insigne, tormentato dagli infortuni e a lungo bollato come incapace di esser profeta in patria, ha raggiunto livelli di rendimento non dissimili dal suo compagno di linea argentino. Ed in grado di mantenere la velocità di punta costante. Sui motivi della presenza di Callejòn nel tridente, a scapito dei più quotati Mertens e Gabbiadini, scelta che molte bocche ha fatto storcere sin qui, Ma, se è vero che Manolo è probabilmente il più cecchino tra i tre, Mertens il più agile e creativo (il più Insigne, in sostanza, anche troppo simile allo scugnizzo), lo spagnolo è il più disposto al sacrificio di faticosi rientri per dare equilibrio alla squadra. Sarri, che è uomo estremamente intelligente e pratico, lo ha capito per primo. A centrocampo, poi, ha avuto il coraggio (che non tutti i mister hanno) di preferire un elemento già in rosa, Jorginho, ad uno nuovo e da lui fortemente voluto, Valdifiori, troppo frettolosamente etichettato come il “cocco dell’allenatore”. Allan si è dimostrato, invece, l’acquisto più azzeccato garantendo, oltre alla capacità di fare interdizione (lo sapeva fare anche Gargano), anche una qualità tecnica non da tutti riconosciuta e , il che non guasta mai, un’efficacia non da poco negli inserimenti (la rete d’apertura era la fotocopia di quella alla Lazio). La difesa è stata puntellata, pur senza nomi altisonanti, ma è certamente più ricca di prima (e, soprattutto, non c’è più Britos, scusate se è poco…). Insomma, una rosa che, nel suo complesso, non può dirsi ancora la più completa della A, ma certamente più omogenea di quella gestita (malino) da Benitez. Il resto potrebbe farlo proprio il successore di Don Rafaè.
Ultime annotazioni sparse: la Roma risorge dalla serata infausta di Borisov maramaldeggiando per un tempo contro un Palermo alla sua quarta sconfitta di fila e mettendo in mostra due cose: un Gervinho ritrovato, al 4° gol (semplicemente stupendo il primo di ieri) in tre partite alla faccia dei tanti che gli contestavano scarso impegno dopo la Coppa d’Africa, e una concentrazione pericolosamente ballerina in fase difensiva. Meri errori individuali o presunzione luciferina? La Juve, dopo esservi riuscita con il Siviglia in Champions, riesce ad “espugnare” lo Stadium anche in campionato battendo 3-1 in rimonta un Bologna che ha avuto il torto di non crederci affatto e di difendere da subito e ad oltranza il misero 0-1 d’abbrivio. Ottimo quanto sciupone Morata, ancora su alti livelli (oltre che in gol) Khedira. Dopo il Siviglia, un’altra prestazione coni fiocchi per il tedesco campione del mondo. Vince, a proposito di capacità di far rispettare il fattore campo, anche la Lazio, al quarto successo consecutivo tra campionato ed Europa e ora ottima terza, ma non senza patire la fisicità del Frosinone, che deve assolutamente migliorare la condizione atletica generale perchè non potrà essere sempre il singolo in giornata di vena (ieri, e non è stata la prima volta, è toccato a Keita il ruolo di salvatore della patria biancoceleste) a levare le castagne dal fuoco.
Ma la chiusura spetta di diritto, e non potrebbe essere altrimenti, alla capolista solitaria, la Fiorentina di Paulo Sousa. Certo, l’Atalanta di Reja, peraltro ridotta in 10 praticamente dal fischio d’inizio, non rappresentava il test più insidioso, ma la Viola ha dimostrato, quantomeno, di non soffrire di vertigini, ha messo in mostra un Borja Valero tornato ai suoi migliori livelli e, in generale, un gioco anche piacevole che abbina ad un possesso palla non così insistito come quello di Montella la ricerca di improvvise e letali verticalizzazioni. Pensare che il tecnico portoghese era stato accolto con una certa diffidenza (eufemismo) dati i suoi trascorsi bianconeri e che alla squadra era stato rimproverato (fino alla sontuosa esibizione a S. Siro) di essere cinica ma anche bruttina è come pensare ad un film alternativo alla realtà. Capolista non per caso.
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