Si riapre il tragico caso del Circeo: la Procura della Repubblica di Roma ha disposto la riesumazione della salma di Andrea Ghira, sepolto come Maximo Testa De Andres nel cimitero di Melilla (Spagna). Lo ha reso noto la trasmissione “Chi l’ha Visto?”. “La sua sepoltura venne alla luce nel 2005 – ricorda Rai Tre – al culmine di una inchiesta del programma di Raitre sulla lunga latitanza dell’unico dei tre massacratori del Circeo, sempre sfuggito al carcere”. “Oltre al legale della famiglia di Rosaria Lopez, avvocato Stefano Chiriatti, autore dell’esposto accolto dai magistrati – conclude ‘Chi l’ha visto?’- sono in Spagna la sua consulente genetica Marina Baldi e i professori Giuseppe Novelli e Giovanni Arcudi designati dalla procura” .
Più che un ‘cold case’, per il massacro del Circeo, avvenuto sul litorale pontino il 29 settmbre 1975, non è stato possibile assicurare alla giustizia tutti i tre gli assassini e stupratori di Rosaria Lopez, rinvenuta cadavere nella 127 di Ghira, e Donatella Colasanti che si salvò solo per essersi finta morta. Dei tre autori, tutti amici, Angelo Izzo, Gianni Guido e Angelo Ghira, solamente i primi due Izzo e Guido furono poche ore dopo il ritrovamento dell’auto in via Pola, nel quartiere romano Trieste. Mentre Ghira, grazie a una soffiata, non sarà mai catturato. Alcuni mesi dopo Ghira scrisse agli amici Izzo e Guido in carcere, assicurando loro che sarebbero usciti presto “per buona condotta” e minacciando di uccidere la Colasanti, perché non testimoniasse contro di loro. La Colasanti fu ricoverata in ospedale con ferite gravi e frattura del naso, guaribili in più di trenta giorni, e gravissimi danni psicologici da cui non si riprese mai completamente. Per lei la morte è sopraggiunta all’età di 47 anni, nel 2005, per un tumore.
L’11 aprile 2008 Gianni Guido, dopo 14 anni passati nel carcere di Rebibbia, è stato affidato ai servizi social. Ha finito di scontare definitivamente la pena nell’agosto 2009, fruendo di uno sconto di pena grazie all’indulto: a fronte di una condanna a trent’anni, ha scontato poco meno di 22 anni in carcere, essendo fuggito più volte dal carcere e avendo trascorso 11 anni di latitanza all’estero.
Per Izzo la storia è più complessa: nel novembre del 2004, nonostante la condanna all’ergastolo, i giudici del tribunale di sorveglianza di Palermo, dove è detenuto, gli concedono la semilibertà. Il criminale ne approfitta per fare nel 2005 due nuove vittime: la moglie e la figlia di un pentito della Sacra Corona Unita che Izzo aveva conosciuto a Campobasso. Il 12 gennaio 2007 per Izzo scatta una nuova condanna all’ergastolo, condanna che viene confermata in Appello.
Andrea Ghira, invece, che all’epoca dei fatti aveva 22 anni, era già iscritto nel casellario giudiziale per una condanna per rapina a mano armata avvenuta nel 1973 insieme ad Angelo Izzo e per questo scontò 20 mesi nel carcere di Rebibbia. A poco tempo dal delitto del Circeo, tra il 15 e il 24 dicembre dello stesso anno, Ghira, latitante, avrebbe anche partecipato al sequestro di Ezio Matacchioni (venendo indicato agli inquirenti dallo stesso rapito, un giovane neofascista liberato poi dai Carabinieri), nel ruolo di carceriere in una villetta di Tor San Lorenzo, alle porte di Roma (ma tutti gli imputati di quel rapimento saranno poi assolti per insufficienza di prove). La versione ufficiale accerta che si arruolò poi nella Legione straniera spagnola con il nome di Massimo Testa de Andrés, per poi morire dopo 18 anni, nel 1994, a Melilla di overdose Aveva allora 40 anni di età.
Sulla morte di Ghira grava però il dubbio di depistaggio, manifestato oltre che da Donatella Colasanti anche da Letizia Lopez, sorella di Rosaria, l’altra vittima del massacro del Circeo, nella trasmissione “Chi l’ha visto?”, durante la quale sono anche state trasmessi i photofit di come dovrebbe apparire oggi Andrea Ghira. Potrebbe non essere suo il corpo sepolto a Melilla, in quanto esiste una foto del 1995, scattata dai Carabinieri a Roma, che ritrae un uomo camminare in una zona periferica della città: l’analisi dell’immagine al computer ha confermato che si trattava di Andrea Ghira. Nel corso degli anni suoi avvistamenti sono stati infatti segnalati in Argentina, Brasile, Costa Rica, Paraguay, Kenia, Sud Africa e Inghilterra.
Nel 2004 viene aperto un fascicolo su Ghira dal procuratore aggiunto Italo Ormanni e dal sostituto procuratore di Roma Giuseppe De Falco. Riprendono così le indagini per rintracciare Ghira, con perquisizioni a tappeto di Carabinieri, Servizio Centrale Operativo (SCO) e Digos. Vengono passati al setaccio nove appartamenti di parenti e amici di Ghira, con sequestri di documenti, lettere e computer. Altre ispezioni si svolgono all’estero. Due strettissimi familiari di Ghira vengono iscritti nel registro degli indagati per favoreggiamento, ma poi non si viene a sapere più nulla dagli inquirenti.
La Procura di Roma chiese l’esumazione della salma, cosa che avvenne il 14 novembre 2005, alla presenza degli investigatori italiani. Fu prelevato un femore per analizzare il DNA a Roma. Nella bara il cadavere risultava ancora affiancato dalla siringa che aveva procurato l’overdose nel settembre del 1994. Il 26 novembre 2005 l’esame del DNA confermò l’identità di Ghira. Ma secondo quanto riportato nel 2006 nel libro “Tre bravi ragazzi” di Federica Scviarelli, l’analisi del DNA di Ghira sarebbe stata effettuata “a cura di persona non imparziale”. L’avrebbe infatti condotta nei laboratori dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università La Sapienza, diretto dal Prof. Arbarello, la Dott.ssa Carla Vecchiotti: una genetista che risulterebbe, secondo le indiscrezioni, già allieva e pupilla della Prof.ssa Matilde Angelini Rota (medico legale responsabile dell’ambulatorio per la violenza carnale dell’Istituto di Medicina Legale della stessa Università), zia dal versante materno dello stesso latitante Andrea Ghira.
Così avrà a dichiarare Donatella Colasanti, prima di morire: “Andrea Ghira è vivo e sta a Roma, quelli sepolti a Melilla sono i resti di un suo parente, per questo il DNA è lo stesso”[25]. In modo analogo si è espressa anche Letizia, la sorella di Rosaria Lopez.
A.B.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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