Miliziani di al-Shabaab, organizzazione terroristica somala affiliata ad al-Qaeda, hanno preso il controllo di una base dell’Unione africana a El Ade, circa 400 km a ovest di Mogadiscio, vicino al confine con il Kenya.
I terroristi hanno dichiarato alla BBC di aver contato 63 vittime all’interno della base e di essersi messi all’inseguimento dei superstiti, che si sono dati alla fuga nei dintorni. I miliziani avrebbero messo le mani anche su 28 veicoli e tutto l’arsenale della base. Ma è prassi di al-Shabab, avvertono diversi commentatori, rivendicare numeri di vittime e bottino superiori al vero.
Secondo i testimoni non ci sarebbero vittime civili, ma diversi abitanti di El Ade avrebbero deciso di scappare.
L’attacco è iniziato alle prime luci dell’alba, quando in Somalia erano le cinque e mezzo di mattina. I terroristi sono riusciti a far saltare l’ingresso principale della base con un’autobomba e hanno aperto il fuoco contro i militari.
La cittadina di El Ade (anche scritta Ceel Cadde), nella regione di Gedo, ospita due basi militari: una affidata all’esercito regolare somalo, l’altra gestita da militari kenioti impegnati nel quadro dell’Amisom, la missione di peacekeeping gestita dall’Unione africana nello stato del Corno d’Africa. Secondo il portavoce dell’esercito di Nairobi, la base attaccata è la prima delle due: i corpi di soldati kenioti che i miliziani hanno esposto in città apparterrebbero ai militari morti nel contrattacco.
L’Amisom ha a disposizione 22.000 truppe provenienti da vari stati africani. Le nazionalità più rappresentate sono l’Uganda, il Burundi, l’Etiopia e appunto il Kenya, che ha inviato in Somalia circa 4000 uomini. La missione ha il compito di proteggere la ricostruzione delle strutture dello stato dopo decenni di anarchia e guerre civili. È stata avviata nel 2007, dopo che l’intervento in forze dell’esercito etiope aveva deposto il governo delle Corti islamiche, che aveva preso il potere a Mogadiscio e in buona parte della Somalia meridionale.
Al-Shabaab nasce proprio in seno all’unione delle corti islamiche. In origine l’organizzazione era semplicemente la divisione giovanile delle Corti: il nome è la trascrizione della parola araba che si traduce “la giovinezza”. Quando il movimento è stato sconfitto sul campo e si è sfaldato, però, i “giovani” si sono riallineati al fianco di al-Qaeda e hanno assunto posizioni molto più intransigenti dei loro predecessori, che si erano uniti soprattutto con l’obiettivo di mediare fra le varie interpretazioni della shari’a diffuse nel paese. Sono loro, e non le Corti, ad aver introdotto ad esempio pratiche come la lapidazione per le adultere e l’amputazione della mano destra per i ladri.
In una terra dove le strutture dello Stato sono implose nel 1991, alla caduta della dittatura di Mohamed Siad Barre, lasciando in vigore la legge del più forte, e l’integralismo non fa parte della tradizione, tutti i fattori hanno portato al-Shabab verso la lotta armata. Oggi si stima che il movimento abbia fra 7000 e 9000 militanti, e abbia il controllo incontrastato di alcune zone nel sud del paese, che fanno da base per i suoi attacchi dentro e fuori i confini della Somalia. L’anno scorso si è reso responsabile del sanguinoso attacco a un campus universitario a Garissa, in Kenya, in cui hanno perso la vita 147 persone, soprattutto studenti cristiani.
Paradossalmente, l’emergere dell’ISIS aveva indebolito l’organizzazione, spaccata fra chi voleva schierarsi con il sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi e chi voleva proseguire sulla strada battuta da al-Qaeda. L’attacco di oggi, suggeriscono gli analisti, potrebbe avere avuto anche l’obiettivo di riaffermare all’Amisom e alla popolazione che la sconfitta del movimento è ancora molto lontana.
Filippo M. Ragusa
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