Come nasce l’arte nel cinema? Giuseppe Tornatore, invitato ieri sera a Palazzo Barberini a Roma, ospite di Massimiliano Finazzer Flory, ne ha parlato durante il secondo degli incontri del ciclo Il gioco serio dell’arte.
In piazza il cinema Barberini proietta, come molte altre sale italiane, La corrispondenza, ultimo lavoro di Tornatore, interpretato da Jeremy Irons e con le musiche di Ennio Morricone, che sta riscuotendo un successo non particolarmente significativo; ma al vicino Palazzo Berberini la coda fuori per assistere dal vivo all’incontro con il regista è lunga e i posti nella Galleria Nazionale di Arte Antica sono tutti esauriti.
“Giuseppe Tornatore, 60 anni, 11 film, e non ho ancora capito l’essenza del cinema” così lo presenta Massimiliano Flory e il cineasta ci sta, perché dice di rispecchiarsi perfettamente e con orgoglio in questa definizione che il grande maestro Akira Kurosawa usò per sé in occasione della consegna dell’Oscar alla carriera. “Nel cinema” spiega Tornatore “non c’è mai un momento in cui si può dire di conoscere questa arte, ma questo dà la meravigliosa sensazione di avere a che fare con qualcosa di ineffabile dalle possibilità infinite“.
Durante l’incontro il regista, vincitore nel 1990 del premio Oscar per Nuovo cinema Paradiso, racconta cosa rappresenta per lui l’arte cinematografica e svela il suo modo di lavorare: come un falegname. “Il regista è un carpentiere della narrazione, che usa tutti i mezzi a sua disposizione per creare le sue opere“. “Non esiste l’ispirazione,” continua il regista “esiste il lavoro e l’impegno; io procedo così“. Secondo Tornatore infatti il cinema offre l’impagabile opportunità di viaggiare nel tempo e nello spazio ma richiede studio e ricerca costante: “In questo modo quando metto in scena un’azione non è più passato ma un presente che si svolge di fronte alla macchina da presa“.
“Il linguaggio del cinema non è altro che un fotogramma, un frammento di tempo sulla nostra retina che va composto e può creare cose meravigliose” torna a dire, ma serve impegno e preparazione. Perché secondo Tornatore, nel momento in cui cominciano le riprese di un suo nuovo lavoro, “il film esiste già e io devo solo scovarlo da qualche parte“. Per spiegare questo suo metodo il cineasta prende ad esempio il modo con cui inserisce la musica nei suoi film: “Così come conosco gli attori e i membri del cast, allo stesso modo io desidero conoscere le musiche prima che inizino le riprese e non dopo come accade di consueto. Questo consente al sentimento del film di nascere insieme alla sceneggiatura“.
Tornatore accenna ai suoi ultimi film, L’offerta migliore e, appunto, La corrispondenza, e dice di aver sempre cercato di inserire nei suoi lavori “l’allegoria perfetta della storia“, nel primo erano i ritratti femminili, in quest’ultimo sono le stelle e lo spazio. “La bellezza di questo mestiere” spiega “sta nel riuscire conciliare in modo coerente le scelte estetiche con il tema di fondo“.
L’incontro si conclude con grandi applausi e un bagno di folla per il regista che con schiettezza ha svelato al pubblico molto del suo modo di creare quella che, sempre si spera, diventi un’opera d’arte. Tuttavia chiarisce: “Nessuno è più critico verso un’opera di colui che l’ha realizzata. Solo che ciò che un autore pensa della propria creazione non lo dice mai o se lo dice lo fa con messaggi criptati all’interno della sua stessa opera“.
Vania Amitrano
Laureata in Lettere, amante dell’arte, dello spettacolo e delle scienze umane, autrice di testi di critica cinematografica e televisiva. Ha insegnato nella scuola pubblica e privata; da anni scrive ed esplora con passione le sconfinate possibilità della comunicazione nel web.
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