Salvatore Failla e Fausto Piano, i due tecnici italiani morti in Libia la settimana scorsa dopo un sequestro durato circa otto mesi, sarebbero stati “uccisi con un colpo alla nuca”. Lo sostiene il ministro degli Esteri del governo di Tripoli, Ali Abuzaakouk, in un’intervista a Il Messaggero.
I due italiani sarebbero stati vittima di una “esecuzione a sangue freddo”, e non di uno scontro a fuoco con le milizie locali. I responsabili sarebbero “criminali tunisini” che “non hanno niente a che spartire con l’Islam”.
Resta di tutt’altro avviso il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, che oggi ha riferito in Senato sulle circostanze della loro morte. Piano e Failla sarebbero rimasti uccisi, insieme a sette dei loro sequestratori, in un “conflitto a fuoco” scoppiato a sud di Surman, “nell’ambito di quotidiane azioni di controllo del territorio” da parte delle milizie di Sabrata.
Le due spiegazioni sono incompatibili, ma per propendere per l’una o per l’altra bisognerà aspettare ancora. I corpi dei nostri due connazionali sono ancora a Tripoli. Poco dopo mezzogiorno di oggi, Siddik al-Sour, direttore dell’ufficio Inchieste della Procura generale locale, ha riferito alle agenzie italiane che l’autopsia era ancora in corso.
“Non possiamo prevedere esattamente quando i medici legali termineranno il loro lavoro, ma certo sarà nelle prossime due o tre ore”, ha detto Sour. All’autopsia sarebbe stato presente anche un “medico legale italiano”. Si allontana ancora, dunque, il rientro in Italia delle salme, ieri oggetto di una serie di annunci, smentite e rinvii. A questo punto sembra probabile che sbarchino a Ciampino stasera. Quando arriveranno a Roma, saranno sottoposti a nuovi esami presso l’Istituto legale del policlinico Gemelli.
Nel resto del suo intervento a palazzo Madama, Gentiloni ha smentito che per il rilascio degli altri due ostaggi italiani, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, sia stato pagato alcun riscatto. “Non risultava fosse imminente il rilascio – ha detto – e non risultava ci fossero passaporti risalenti a Daesh”. D’altronde, secondo il ministro, il sequestro non era stato nemmeno mai rivendicato. Sull’identità dei suoi autori “l’ipotesi più accreditata è quella di un gruppo criminale filo-islamico operante fra Mellita, Zuwara e Sabrata”.
Per proprie finalità, il gruppo di sequestratori ha lasciato intendere che gli ostaggi fossero stati separati o passati di mano ad altri gruppi, fatto che in questi ultimi giorni si è rivelato non essere vero.
Quanto al modo in cui Calcagno e Pollicardo sono tornati liberi, Gentiloni ha ripetuto quel che hanno raccontato loro al pm Sergio Colaiocco: il 4 marzo, “lasciati incustoditi nel luogo di prigionia, sono riusciti a fuggire” a Sabrata, da dove hanno preso contatto con le autorità di Tripoli e con le famiglie.
“Combattere lo Stato islamico è la nostra priorità”, dice ancora Abuzaakouk nella sua intervista, ma “accetteremo la cooperazione degli altri Paesi in termini di aiuti logistici, armamenti, munizioni”. Il ministro si è detto ben disposto verso la presenza di specialisti d’intelligence provenienti dall’estero, ma ha ribadito: “La nostra politica è quella di non avere stranieri armati in Libia”, a eccezione di quelli già in campo con il generale Khalifa Haftar nella campagna per riprendere Bengasi dalle mani dei jihadisti alleati all’ISIS.
Nel frattempo, però, il New York Times ha pubblicato dettagli sul piano d’intervento presentato lo scorso 22 febbraio dal segretario per la Difesa USA, Ash Carter, al presidente Barack Obama.
Il Pentagono ha messo a punto una lista di 30-40 obiettivi di raid analoghi a quello che il 19 febbraio scorso ha distrutto un campo di jihadisti alle porte di Sabrata. In quell’occasione l’obiettivo era Noureddine Chouchane, considerato la mente degli attentati del 2015 in Tunisia. I bersagli dei prossimi raid, coordinati con gli alleati (Italia, Francia e Gran Bretagna), saranno altri campi d’addestramento, centri di comando, depositi di munizioni e altri siti d’interesse strategico. Secondo l’Africa Command e il comando per le operazioni delle forze speciali, i bombardamenti dovrebbero aprire la strada all’intervento di terra, che dovrebbe essere affidato a forze libiche armate dall’occidente. In ogni caso, l’amministrazione USA precisa che il piano non è ancora in fase operativa. Per ora, giura il Pentagono, i caccia a stelle e strisce si alzano in volo solo su espressa richiesta di colpire obiettivi specifici.
Tanto basta, secondo gli strateghi di Washington, a contenere la crescita dell’ISIS in Libia. L’obiettivo non è far sì che l’autoproclamato Califfato non si rinforzi – il numero di truppe che ha a disposizione, nel teatro libico, è raddoppiato negli ultimi sei mesi – ma che non diventi mai tanto forte da poter sopravvivere a una campagna militare “limitata e politicamente accettabile” quando il governo di unità nazionale sarà in grado di richiederlo, ammesso che ottenga mai la sospirata fiducia dei due parlamenti rivali di Tripoli e Tobruk.
Nel frattempo l’aviazione USA è tornata a colpire in Siria, nei pressi di al-Shaddadi, nel nordest occupato dall’ISIS. Secondo la CNN, nel raid sarebbe stato colpito e forse ucciso Abu Omar al-Shishani (“il ceceno”), uno dei più potenti luogotenenti di Abu Bakr al-Baghdadi. Ex membro dei corpi speciali georgiani, sulla sua testa pende una taglia da 5 milioni di dollari. Il Pentagono ha confermato di aver ordinato il bombardamento, ma ha precisato che sul suo esito sono in corso tutte le verifiche del caso.
F.M.R.
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