Il Parlamento UE condanna “con forza la tortura e l’assassinio del cittadino europeo Giulio Regeni”, il ricercatore italiano scomparso al Cairo il 25 gennaio – anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir – e ritrovato senza vita otto giorni dopo.
La mozione è stata approvata a larghissima maggioranza: 588 voti a favore, 10 contro, 59 astenuti. Era stata presentata da tutti i gruppi, a eccezione dell’Europa delle nazioni, la coalizione di movimenti nazionalisti di cui per l’Italia fa parte la Lega.
Strasburgo ha chiesto al governo egiziano di “fornire alle autorità italiane tutti i documenti e le informazioni necessarie” e ha ricordato con “grave preoccupazione” che l’uccisione del ricercatore italiano “non è un incidente isolato”.
Intanto dal Cairo arriva un inaspettato dietrofront sulla collaborazione nelle indagini. Il Procuratore generale egiziano, Nabil Ahmed Sadek, ha invitato gli inquirenti italiani a incontrare al Cairo i loro colleghi locali, per “informarli degli ultimi sviluppi investigativi” e “individuare ulteriori modalità di collaborazione fra le due autorità giudiziarie nell’interesse dei relativi Paesi”. Lo ha annunciato oggi il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, che ha riferito di aver ricevuto i documenti necessari attraverso l’ambasciatore egiziano Amr Helmy.
Si tratta, come detto, di una netta inversione di rotta rispetto alle dichiarazioni di pochi giorni fa del procuratore di Giza Hossam Nassar, che aveva rivendicato di condurre di persona l’inchiesta, riducendo il ruolo della magistratura italiana a uno “scambio di informazioni”.
Quella, d’altra parte, non era stata la sua unica affermazione controversa. Nassar sostiene che Giulio Regeni, alle 19.38 del giorno della sua scomparsa, sia riuscito a entrare nella stazione della metropolitana di el-Behoos, a pochi passi da dove abitava nel quartiere di Dokki. “Come abbiamo stabilito in questi ultimi giorni con un accertamento tecnico – sostiene il procuratore – a quell’ora la sua utenza cellulare si connette con internet mentre è all’interno della metro. Questo vuol dire che sicuramente non è stato sequestrato nel tragitto da casa alla metro”. E nemmeno nella stazione, “perché a quell’ora, con tutta quella gente, qualcuno lo avrebbe notato”.
Nassar ha fatto osservazioni controverse anche sui risultati dell’autopsia svolta al Cairo sul corpo del giovane. Regeni sarebbe morto “non più tardi delle 24 ore precedenti il ritrovamento del suo corpo, la mattina del 3 febbraio”. Ma secondo il procuratore “le violenze che ha subito sono state inflitte tutte in un’unica soluzione, tra le 10 e le 14 ore precedenti alla sua morte”: non si sarebbe trattato, quindi, di torture prolungate nel tempo come pure si era detto sulla base degli stessi referti.
Ma le affermazioni che hanno fatto parlare di più riguardano proprio i segni di quelle torture. Il corpo aveva le unghie strappate e gli mancavano parti dei padiglioni auricolari, tagliate di netto. “Sono stati i medici legali – ha detto Nassar – ad asportare le une e le altre per poter effettuare esami accurati”.
Il procuratore di Giza ha detto anche di aver chiesto alle autorità italiane di poter interrogare un certo Francesco, “il migliore amico di Giulio”, uno degli italiani che l’ambasciata ha fatto rientrare con un volo speciale l’8 febbraio temendo per la loro incolumità.
Nel frattempo, però, due fonti indipendenti hanno confermato ai giornali italiani che la polizia del Cairo aveva cercato Regeni a casa sua, non trovandolo, verso la fine di dicembre scorso. Circostanza sempre negata dai vicini di casa, anche nei verbali degli interrogatori. La tempistica suggerisce qualche legame con un episodio già raccontato dai giornali, ma che ora si arricchisce di nuovi particolari contenuti nella deposizione di un amico agli inquirenti italiani, pubblicata da la Repubblica.
L’11 dicembre scorso, afferma l’amico, lui e Regeni erano andati a una riunione convocata da “una ONG che si occupa di diritti dei lavoratori, per riunire il fronte dei sindacati indipendenti”. Niente di illegale: la notizia era di pubblico dominio, e nei giorni precedenti era comparsa sui cauti giornali egiziani. Erano presenti diversi giornalisti e ci si poteva aspettare che ci fosse anche Regeni, che faceva ricerca nel campo delle organizzazioni sindacali.
Una cosa però ci inquietò. Giulio si accorse che durante la riunione era stato fotografato da una ragazza egiziana, con un telefonino. Pochi scatti. Strano. Ne parlammo a lungo. Una delle possibilità è che fossero presenti informatori delle forze di sicurezza.
Lo stesso amico ricorda il “clima di paranoia e xenofobia” che si respirava al Cairo in attesa del 25 gennaio, ricorrenza tutt’altro che cara al regime di Abdul Fattah al-Sisi. È possibile che Regeni sia stato scambiato per una spia, o “chissà per cosa”. “A volte basta essere stranieri e parlare arabo per destare sospetti”.
F.M.R.
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