Donald Trump e Hillary Clinton si confermano saldamente in testa alla corsa per le candidature alle presidenziali USA del prossimo novembre.
Nel secondo Super Tuesday, gli elettori di entrambi i partiti, repubblicani e democratici, hanno votato negli stessi cinque stati: Carolina del Nord, Florida, Illinois, Missouri e Ohio. Alle urne anche i repubblicani nel territorio delle isole Marianne del nord, dove i democratici si sono espressi sabato scorso. Hillary Clinton si è aggiudicata cinque stati su cinque.
Trump si è dovuto fermare a quattro: nell’Ohio ha trionfato John Kasich, il governatore in carica. La sua affermazione è stata netta, amplificata dal regolamento elettorale che in quello Stato assegna i voti di tutti i 66 delegati al primo classificato. Ma era ampiamente prevista: gli abitanti dell’Ohio lo adorano, nel 2014 lo hanno rieletto con il doppio dei voti del suo sfidante. Trump si è rifatto con la Florida, lo Stato più popoloso fra quelli in palio ieri, dove in palio – anche lì assegnati in blocco al primo classificato – c’erano 99 voti.
In Florida, lo Stato dove è nato, Marco Rubio sognava la gloria. Invece ha ottenuto un misero 27% dei voti, quasi venti punti meno di Trump, primo al 46%. A nulla sono valsi i voti della comunità di origini cubane, di cui lui stesso fa parte. Preso atto dello smacco, si è ritirato dalla corsa elettorale.
Così facendo, però, Rubio ha gettato nello sconforto l’establishment del Grand Old Party, che ora non ha un cavallo su cui puntare alla convention di Cleveland, che a metà luglio assegnerà formalmente la candidatura. Oltre a Trump e a Kasich, che condivide la linea moderata del partito ma è praticamente sconosciuto fuori dai confini dell’Ohio, è rimasto in corsa solo Ted Cruz, il candidato degli ultraconservatori del Tea Party.
Le primarie repubblicane sono ancora combattute: non accadeva dal 1968 che quattro candidati si aggiudicassero Stati nella stessa tornata di consultazioni (Rubio ha vinto in Minnesota e nel distretto federale di Washington). Ma anche se l’aritmetica non permette ancora di scrivere la sentenza, non si può negare che Trump abbia la via spianata verso la nomination. Anche se non dovesse riuscire a garantirsi il voto della maggioranza assoluta dei delegati repubblicani, è difficile che il partito riesca a imporre un altro nome al suo posto. Sfumata la candidatura di Rubio, ora la struttura del partito dovrebbe fare marcia indietro, proporre una tregua al Tea Party e sostenere Cruz, ammesso che il senatore texano mantenga il ritmo delle ultime settimane. E dopo che gli ex candidati Chris Christie e Ben Carson hanno dichiarato di sostenere Trump, per poterlo contrastare Cruz ha bisogno di tutti i voti che può raccogliere, inclusi quelli di Rubio e Kasich. Una missione che non si annuncia facile: il governatore dell’Ohio si è detto convinto di essere “la persona più qualificata in America per fare il presidente degli Stati Uniti”.
Con la vittoria in casa, John Kasich è arrivato a 136 voti garantiti, molto vicino ai 168 che racimolati a fatica da Rubio in tutta la sua campagna. Cruz ne ha 395, Trump 612. Il quorum per avere la nomination assicurata è di 1237, ma mancano ancora all’appello Stati grandi e popolosi come New York e la California.
In campo democratico, dove la corsa è sempre stata limitata a due candidati, l’en plein di Hillary Clinton fa sembrare la sua vittoria naturale e ineluttabile. L’unico Stato dove Bernie Sanders è riuscito a impensierirla è il Missouri. Niente da fare per il senatore del Vermont in Ohio – dove è stato staccato di quasi 14 punti: 56,4% contro 42,7% – e in Illinois – dove il distacco è stato nell’ordine dei due punti.
Secondo i commentatori, è merito delle correzioni apportate in corsa alla campagna dalla sua concorrente. Spaventata dal successo di Sanders nel primo Super Tuesday, la Clinton ha rimodellato i suoi discorsi per fare più attenzione al disagio sociale. Questo le ha permesso di portare dalla sua parte anche Stati dove si pensava potessero fare breccia i discorsi del senatore.
Dalla sua, la Clinton ha anche la maggior parte dei superdelegati, che secondo lo statuto democratico votano in libertà di coscienza, e non su mandato degli elettori del loro Stato. Dei 714 che parteciperanno alla convention democratica, 467 sono considerati schierati a suo favore, e solo 26 per Sanders. Fra i delegati statali, invece, la Clinton è in vantaggio per 1094 a 774. La vittoria di oggi la avvicina molto al quorum necessario per la nomina matematica, che è di 2383 voti fra delegati e superdelegati.
F.M.R.
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