Lo ricorderemo come il voto della svolta, del cambiamento. Grazie al voto di ieri, paradossalmente l’Italia torna più governabile perchè si ricomincia dagli outsider. In questo senso il quadro politico nazionale, adesso, è più chiaro. Tra astensionismo sempre più accentuato e voto di protesta l’Italia ha lanciato un segnale forte nei confronti del vecchio modo di fare politica. E questo per una serie di fatti e ragioni di cui si intuiva la portata ma che in queste ore è diventata una realtà inoppugnabile. Intanto esaminiamo l’indicazione più significativa delle urne. Nelle grandi città, se si fa eccezione di Milano, i cittadini hanno scelto uomini e donne alternativi.
A Roma il caso più clamoroso. Vince Virginia Raggi, la faccia d’angelo del movimento grillino che straccia l’anemico Giachetti del Pd e strapazza i resti di quella che era stata la forte destra romana presentatasi divisa tra la Meloni e Marchini all’appuntamento del dopo Alemanno.
A Napoli trionfa a mani basse De Magistris il Masaniello anti Renzi, che dopo aver nichilizzato la candidata Pd Valeria Valente, al ballottaggio dovrà vedersela, ma l’esito è fin troppo scontato, con le truppe residue del centrodestra partenopeo guidate da Gianni Lettieri. Nella vicina Salerno a raccogliere l’eredità dell’anomalo e antipartitico Vincenzo De Luca sarà il suo vice Vincenzo Napoli.
Non cambiano le cose a Torino dove la grillina Chiara Stendino, con un risultato inatteso, al ballottaggio contenderà a PieroFassino la guida della città sabauda. L’unica vittoria certa per la sinistra si registra a Cagliari dove il bravo ed efficiente Massimo Zedda, espressione di Sel, e non di un annaspante Pd, passa al primo turno votato da tanti concittadini, anche di destra, soddisfatti di come ha amministrato il capoluogo negli ultimi cinque anni. Ed è proprio la buona amministrazione a fare la differenza, come nel caso di Milano o altre città, vedi Novara, Como e Bologna dove a destra come a sinistra si è premiata la bravura e la non disonestà.
Resta però il dato di fondo che il premier Renzi ha sintetizzato nella battuta “non è una debacle, ma non sono soddisfatto…”. E ne ha ben ragione tanto più in vista di un referendum sulle riforme costituzionali dove la partita, condizionata da una sinistra Pd agitata e scomposta, alla fine potrebbe essere giocata proprio sulla stessa possibilità del premier di rimanere a Palazzo Chigi o meno. Per ora dei sindaci uscenti del Pd nessuno è stato confermato e alcuni non saranno confermati nemmeno al ballottaggio. E di questo Renzi alla fine dovrà pur tenerne conto.
Il voto offre però anche altri spunti interessanti soprattutto per quanto riguarda la destra. Intanto c’è da dire che Salvini e la Lega non hanno sfondato sia nello schieramento di appartenenza che nel Paese. Ed anche a Milano dove la performance di Parisi conferma il buon stato di salute del centro destra, è Forza Italia a tenere la barra del comando con il doppio di voti rispetto alla Lega ferma ad un modesto dieci per cento dei consensi.
Ma a destra il vero problema è quello della leadership e le urne hanno dato un responso che mette sul banco degli imputati Silvio Berlusconi e le sue scelte su Roma, dove, dopo l’infausta parentesi Bertolaso, Alfio Marchini, sostenuto da Forza Italia ma doppiato da Giorgia Meloni, ha portato la destra della capitale ai livelli storici più bassi di sempre. Un suicidio politico che lascia in campo tre leader dimezzati a livello nazionale che subito dopo i ballottaggi saranno costretti, nel compito ingrato e quasi impossibile, di rimettere in piedi i cocci di uno schieramento oggi frantumato e privo di idee guida.
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