Marcello Lippi rinuncia al ruolo di Direttore tecnico delle nazionali italiane di calcio. Lo ha annunciato il Corriere dello Sport; Lippi ha confermato in tarda serata con un sms, dopo aver informato di persona il presidente FIGC Carlo Tavecchio.
Il tecnico viareggino, già ct degli azzurri campioni del mondo 2006, doveva essere il perno del nuovo sistema-calcio dopo la scadenza del mandato da ct di Antonio Conte. Avrebbe dovuto coordinare tutte le rappresentative italiane a livello federale, mentre sulla panchina della nazionale A andrà Giampiero Ventura.
Il progetto di Tavecchio, però, si è scontrato con una norma che vieta incarichi federali a chi ha parenti procuratori di calciatori. È il caso dell’ex ct: il figlio, Davide Lippi, detiene la procura di vari giocatori di Serie A, alcuni dei quali nel giro della Nazionale.
Sulla nomina dell’ex ct Tavecchio aveva chiesto rassicurazioni ai legali della FIGC, che all’inizio gli avevano dato un parere positivo. Ma poi ha dovuto girare la questione alla Corte federale, che ieri si è riunita e ha deciso di analizzare la questione nel merito. Il parere definitivo non arriverà prima della fine del mese. Probabilmente bisognerà riscrivere i regolamenti, misura che richiederà tempo e che rischia di sembrare un favore personale a Lippi.
L’ex ct, a questo punto, ha preferito fare un passo indietro senza aspettare oltre. Anche se la comunicazione arriva in pieno campionato europeo, mentre la squadra azzurra sta preparando un delicatissimo ottavo di finale contro la Spagna.
“Mi dispiace molto – ha scritto Lippi – perché l’idea di tornare in Federazione da dt era per me appassionante”.
Penso che fosse il ruolo giusto. Ma evidentemente… Quello che è successo è strano, molto strano. Se qualcuno aveva nel mirino me sappia che ha sbagliato perché la mia storia resta scritta; se qualcuno aveva nel mirino mio figlio, non posso permettere che paghi lui un prezzo che sarebbe assurdo pagare. Per questo ho deciso di chiudere la vicenda, parlando col presidente Tavecchio.
“Non avevo alternative”, si difende il numero uno della Federcalcio: “Non potevo che chiedere un parere giuridico autentico alla Corte federale, organismo massimo della giustizia sportiva”.
F.M.R.
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