Impossible is an opinion. Così affermava Enzo Maiorca, uno dei maggiori apneisti italiani, scomparso ieri a Siracusa, all’età di 85 anni.
In effetti, misurarsi con l’impossibile sembra essere stata la chiave della vita di Maiorca, detentore del record di immersione in apnea per ben tre volte, l’ultima nel 1988 arrivando a spingersi a 101 metri di profondità.
Quando il “signore degli abissi” come veniva spesso definito, si avvicinò per la prima volta al mondo delle immersioni, alla metà del Novecento, l’apnea stava appena cominciando ad essere considerata uno sport degno di attenzione mediatica, tanto che fu in quegli anni che iniziò una vera e propria “corsa alla profondità” che vide Maiorca misurarsi con le prove di pionieri come Raimondo Bucher (primo record di apnea ufficiale nel 1952). A fare la storia di questa disciplina, troviamo atleti del calibro di Ennio Falco, Stefano Makula, Jacques Mayol e l’italiana Angela Bandini. Il suo rivale più accanito fu però il brasiliano Amerigo Santarelli, con il quale si contese il record due volte nello stesso anno, nel 1960.
“È una perdita per tutto lo sport italiano – ha affermato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – Rappresenta un mito per questo Paese, tutti lo ricordiamo per le sue grandissime imprese”.
Io, da ministro dell’Ambiente la sua mancanza la sento ancora di più, perché lui ha lavorato con il mare e la sua passione nasceva proprio dall’amore che aveva per il nostro bellissimo mare di Siracusa. Penso sia stato un testimonial importante per il nostro Paese, per portare all’estero la bellezza, la passione, la tradizione, la cultura italiana.
Ritiratosi dalla carriera agonistica nel 1976, Maiorca spiegò il perché di questa decisione in un intervista:
Mi ero immerso in una secca poco lontana dal capo che protendendosi verso il mare aperto chiude a sud la baia di Siracusa. Quella mattina mi accadde di arpionare una cernia. Una cernia robusta, combattiva. Si scatenò sul fondo una vera e propria lotta titanica fra la cernia che pretendeva di salvare la sua vita e me che pretendevo di togliergliela. La cernia era incastrata in una cavità fra due pareti; cercando di rendermi conto della sua posizione passai la mano destra lungo il suo ventre. Il suo cuore pulsava terrorizzato, impazzito dalla paura. E con quel pulsare di sangue ho capito che stavo uccidendo un essere vivente. Da allora il mio fucile subacqueo giace come un relitto, un reperto archeologico impolverato nella cantina di casa mia. Era il 1967.
Il corpo dell’ex campione di apnea verrà cremato e “Le sue ceneri verranno disperse in mare – ha fatto sapere la figlia Patrizia – Da Capo Murro di Porco in una giornata dove ci sia vento da Ponente, fino a portarle in Grecia”.
P.M.
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