Se la Cina non fermerà la minaccia nucleare della Corea del nord, gli USA sono pronti a intervenire da soli. Lo ha detto il presidente Donald Trump in un’intervista pubblicata ieri dal Financial Times.
Giovedì, nel suo quartier generale di Mar-a-Lago, in Florida, Trump incontrerà il presidente cinese Xi Jinping. I principali argomenti di conversazione saranno le strategie commerciali e il contenimento di Pyongyang.
“Se la Cina non risolverà il problema, lo faremo noi”, dice Trump. “Siamo in grado di agire anche senza l’aiuto della Cina, è tutto quello che posso dire”. Lo scorso 16 marzo il Segretario di Stato Rex Tillerson aveva dichiarato di avere sul tavolo “tutte le opzioni, inclusa quella militare”. E l’ultimo ciclo di esercitazioni navali congiunte della marina USA con quella della Corea del sud è finito da poco più di una settimana.
“Ho grande rispetto per Xi Jinping”, dice ancora il presidente USA. “Ho grande rispetto per la Cina”.
Non sarei per niente sorpreso se riuscissimo a fare qualcosa di molto importante e di molto buono per i nostri Paesi.
Nel frattempo gli esperti si affannano a spiegare le continue evoluzioni della crisi permanente fra Washington e Pyongyang. Gli USA stanno potenziando le difese nel Pacifico: nel quadrante sono arrivati un radar galleggiante dalle Hawaii e la portaerei Vinson, con il corredo di truppe e materiali necessario. E tre giorni fa la Casa Bianca ha annunciato provvedimenti contro undici emissari nordcoreani attivi all’estero, parte di quella rete – fatta di agenti in carne e ossa, ma anche di navi, società e organizzazioni – che aiuta il regime di Kim Jong-un a violare le sanzioni internazionali come l’embargo su armi e tecnologie militari.
Gli sviluppi dipenderanno anche dalle prossime mosse di Washington: ad esempio la decisione di applicare sanzioni secondarie agli Stati che aiutano la Corea del nord, o non mantengono tutte le promesse in merito. A cominciare proprio dalla Cina, che con Pyongyang ha un rapporto complesso. Alcuni analisti, anzi, ritengono che l’escalation americana contro la Corea punti proprio a colpire Pechino.
La migliore delle ipotesi è che USA e Cina raggiungano un compromesso, sacrificando ognuno qualcosa: in cambio del programma nucleare nordcoreano, gli USA potrebbero ritirare tutte o parte delle loro truppe dalla Corea del Sud. In vista di un possibile accordo commerciale, Xi avrebbe preparato un piano di investimenti cinesi sulle grandi opere che Trump vuole realizzare negli USA, per creare posti di lavoro e modernizzare le infrastrutture. Non è da escludere che l’accordo si possa arricchire di un’appendice strategica. Ma è improbabile che per arrivare all’obiettivo basti un solo vertice. Anche perché Trump, secondo quasi tutti i commentatori americani, non ha ancora stabilito esattamente quale strategia seguire nelle trattative con il suo collega cinese.
Sempre secondo gli osservatori di oltreoceano, Xi potrebbe puntare tutto su Jared Kushner, il genero e senior advisor di Trump, al quale il presidente ha affidato i negoziati, mettendo di fatto ai margini delle operazioni il Segretario di Stato. E così, mentre Tillerson volava a Pechino per definire i dettagli del vertice di questa settimana, a Washington erano Kushner e l’ambasciatore cinese Cui Tiankai a ricucire lo strappo diplomatico provocato dalla telefonata fra Trump e la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen.
Quello che tutti vogliono evitare è un intervento militare USA su vasta scala, che senza dubbio metterebbe in discussione gli interessi – oltre che della Cina – della Russia e del Giappone. Il domino delle reazioni potrebbe coinvolgere le rivendicazioni di Pechino sulle isole del Mar Cinese meridionale, e ad aggravare l’incertezza del contesto geopolitico c’è anche l’incognita sul comportamento del presidente delle Filippine Rodrigo Duterte.
Nessuno pensa che la Corea del nord sia in grado di vincere una guerra, ma c’è da temere che il regime dei Kim, se fosse messo con le spalle al muro, decida di fare più danni possibile ai suoi nemici prima di cadere.
F.M.R.
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