Grazie alla Norvegia, che ha deciso di abbandonare e proibire nuovi allevamenti di animali da pelliccia, cresce nel mondo lo schieramento di quanti intendono porre fine ad una pratica feroce che purtroppo vede l’Italia ancora nelle primissime posizioni. Non siamo certo al livello dei cinesi, che con il mondo animale hanno un approccio, è il caso di dirlo, assolutamente non condivisibile. Però sulla sorte di milioni di bestiole che ogni anno vengono sacrificate sull’altare della moda e delle necessità di quanti vivono e lavorano in zone del pianeta particolarmente inospitali, con la decisione del governo norvegese le cose sembrano marciare in una direzione impensabile solo qualche anno fa. Per quanto riguarda la Norvegia, le considerazioni economiche della premier conservatrice Erna Solberg, passano in secondo piano, soppiantate da ragioni ecologiste e di difesa dei diritti animali che mettono finalmente un punto alle stragi della moda. In ogni caso secondo gli economisti, il divieto non avrà un grosso impatto sull’economia norvegese. Il piano previsto è quello di provvedere ad una compensazione economica per le aziende interessate e di presentare la proposta al Parlamento dove già sette dei nove partiti hanno ufficializzato il loro sì.
Un tempo i Paesi scandinavi avevano il triste primato mondiale di produzione di pelli di volpe, poi la Svezia e la Danimarca hanno deciso di chiudere i propri allevamenti seguite ora anche dalla Norvegia. Prima di loro l’Olanda, l’Austria, il Regno Unito, la Croazia, la Serbia, la Slovenia, la Repubblica di Macedonia, la Repubblica Ceca e la Bosnia. La Germania sta chiudendo gli ultimi allevamenti, la Spagna e la Svizzera non consentono di aprirne di nuovi.
In Italia siamo purtroppo ancora indietro, anche se alcune associazioni animaliste – come la LAV, Animal Equality ed Essere animali – si stanno battendo per la chiusura. Nel nostro Paese la produzione di pellicce animali si limita alla Lombardia, al Veneto e all’Emilia Romagna, ma i numeri sono comunque elevati: sono infatti 200 mila i visoni che ogni anno sono allevati a scopo di pelliccia in oltre venti allevamenti (fonte LAV). Oltre a questi, in tutto il mondo gli altri animali utilizzati per le loro pelli sono i cani-procione (in Europa la Commissione europea ha messo al bando l’allevamento del cane procione perché incluso nella lista delle specie aliene invasive di interesse europeo), i conigli, gli ermellini, le volpi, gli zibellini, gli opossum e gli agnellini. Sempre più spesso si trovano oggetti prodotti con pelli di cani e gatti. I problemi maggiori infatti vengono dai Paesi extracomunitari, come la Cina, dove non esiste alcun tipo di regolamentazione. Tirando le somme, 70 milioni di animali nel mondo sono allevati esclusivamente per le loro pelli..
La scelta della Norvegia arriva in un momento in cui la strada mondiale del fashion sta iniziando a ridurre drasticamente l’uso di capi di pelliccia naturale: la “fur free policy” sta diventando importante per gli stilisti e i gruppi di moda più illuminati. Ultimo della serie Gucci che, anche grazie al rapporto di lungo tempo con l’associazione italiana LAV e l’americana HSUS, dalla stagione primavera-estate 2018 non userà più pellicce animali nelle sue collezioni. Con questo passo Gucci si unisce ad altri marchi internazionali di moda, fra cui Armani, Hugo Boss, Stella Mc Cartney, Jimmy Choo, Michael Kors, Zara (sito furfreeretailer.com).
Gaia Bay Rossi
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