“Devastante”. Non poteva scegliere termine migliore Matteo Renzi per dare una idea esatta di quanto successo tra venerdì e sabato notte ai vertici di un Pd diviso e cannibale in materia di nomination elettorali. Come era prevedibile alla fine ha vinto il rottamatore che, nella notte delle scelte, ha fatto giustizia sommaria di quanti gli hanno reso la vita difficile negli ultimi mesi. Anzi Renzi ha stravinto facendo scempio delle opposizioni interne e sistemando tutti uomini di propria fiducia nei collegi uninominali sicuri o in posizione chiave nelle liste proporzionali. Lapidario il commento del ministro della Giustizia e capo della minoranza del partito: “Renzi porta in Parlamento i suoi fedelissimi”. “Squadra fortissima serve il rinnovamento” avverte il segretario del Pd. “Una bad company” gli fa ancora eco un delusissimo e preoccupato Orlando. E al presidente del partito, al quale Renzi aveva riservato il collegio blindato di Sassuolo senza consultare i circoli locali, Gianni Cuperlo ha risposto con un “no grazie, per rispetto alla base”. Incurante però di critiche e contestazioni Renzi ha scelto la strada dello scontro probabilmente stanco dei mille condizionamenti con i quali è stato costretto a fare i conti nel partito, dopo la batosta del 4 dicembre 2016 sul referendum costituzionale. Il rottamatore ha deciso di andare avanti accreditando così, con una massiccia iniezione di nuovi parlamentari a lui fedelissimi, l’idea che molti alla sua sinistra, dentro e fuori del partito, lo guardano ormai come il grande traghettatore del Pd verso l’area di centro. Giocando tra Camera e Senato e tra blindature e collegi sicuri, Renzi ha portato in Paradiso Maria Elena Boschi, indigesta al Pd locale bolzanino e agli alleati della Svp e il vicepresidente della Camera, il romanaccio Roberto Giachetti che correrà nel poco romano collegio di Sesto fiorentino in Toscana. Stessa sorte per la ripescata Anna Ascani ed Ernesto Carbone collocati in seggi tranquilli in Umbria ed Emilia Romagna. E tutto questo a danno di alcuni veterani storici del partito come Ermete Realacci, Luigi Manconi, Nicola Latorre, Rosario Crocetta (che parla di “epurazione”)o il ministro Claudio De Vincenti insieme all’ex pm di Mani pulite, Antonio Di Pietro, ancora intenzionato a restare in politica malgrado la disastrosa esperienza di Italia dei valori. Questi trombati dell’ultima ora, dovranno fare posto a new entry come Piero De Luca, figlio del governatore campano, Lucia Annibali, Paolo Siani fratello del giornalista napoletano ucciso dalla camorra o Riccardo Illy. Ma vediamo i grandi numeri come stimati da Renzi e dal fedelissimo Lotti, partendo dal presupposto del quorum del 24,2% (26% se si calcolano anche gli alleati) che gli ultimi sondaggi accrediterebbero al Partito democratico. Con quel risultato verrebbero eletti in 200 tra Camera e Senato e al segretario potrebbero finirne in dote non meno di centocinquanta, il 75% del totale. Una razzia che lascerebbe 4/5 parlamentari alla coalizione, 10/15 a Orlando (ne aveva chiesti prima 40 poi 25), 5/6 al “furibondo” governatore della Puglia Emiliano, 5/6 a Orfini e 4/5 a testa per Martina e per il ministro dei Beni culturali Franceschini. La mattanza delle opposizioni interne al Pd è servita.
E.C.
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