“La sua impudenza, come la libidine, la lussuria, la cupidigia e soprattutto la crudeltà si manifestarono da principio gradualmente e in forma clandestina, come una follia di gioventù, ma anche allora nessuno ebbe dubbi che si trattasse di vizi di natura e non dovuti all’età. Dopo il crepuscolo, calzato un berretto o un parrucchino penetrava nelle taverne, vagabondando per i diversi quartieri facendo follie, non certo inoffensive, perché consistevano generalmente, nel picchiare la gente che ritornava da cena, nel ferirla o immergerla nelle fogne se opponevano resistenza, come pure nel rompere e scardinare le porte delle botteghe… e nel suo palazzo il frutto del suo bottino diviso e messo all’asta”. Ciò che ci racconta Svetonio non sono le azioni del bandito Tirseo, ma sono le scorribande pazze e violente del diciottenne Lucio Domizio Enobarbo, meglio noto come Claudio Cesare Nerone, dal 54 a.C., quinto e ultimo imperatore della dinastia Giulio Claudia.
Quando il 15 dicembre del 37 d.C, ad Anzio nacque Nerone, ( si diceva che fosse nato al primo sorgere del sole, e quindi toccato dai suoi raggi prima della terra) il padre Gneo Domizio Enobarbo consapevole della sua malvagità e di quella della moglie Giulia Agrippina, (sorella di Caligola e discendente di Augusto) rispondeva a chi si congratulava con lui, che erano inutili gli auguri, poiché niente di buono poteva nascere da due persone come loro. Le varie descrizioni ci mostrano un Nerone di statura media, con il corpo coperto di macchie, che emanava un cattivo odore, con il ventre preminente e con gambe gracili. E aggiungono che aveva i lineamenti più regolari che belli, il collo molto grosso, la capigliatura biondiccia pettinata con file di boccoli ondulati, e con la barba tendente al rosso. Aveva gli occhi azzurri e penetranti, ma era molto miope, tanto che per vedere meglio utilizzava un particolare smeraldo lavorato e levigato. Svetonio precisa anche : “… la sua salute era robusta, difatti nonostante tutti i suoi stravizzi sfrenati, in 14 anni si ammalò soltanto 3 volte. Nel vestire e nel contegno mancava totalmente di dignità, spesso alle udienze indossava una corta veste di seta senza cintura, pantofole, e un fazzoletto intorno al collo…”.
All’inizio del regno, sotto la guida di Seneca e Afranio Burro, Nerone fu animato da sentimenti liberali e progressisti che diedero vantaggi soprattutto ai più poveri, come tra l’altro, il tentativo di riforma tributaria ( bocciata dal Senato) ove era prevista l’eliminazione delle tasse indirette in tutto l’impero; o la riforma monetaria ( che invece passò) con il maggior valore dato alle monete d’argento (in genere nella disponibilità soprattutto dai ceti medio bassi) a discapito degli aurei e quindi dei loro ricchi possessori, riforma che aumentò la moneta circolante e un utile per lo Stato. Sempre a vantaggio dei più deboli, pretese inoltre che tutti i processi si svolgessero in forma pubblica; ordinò la diminuzione dei premi previsti per i delatori; concesse aiuti e sussidi alla popolazione, elargizioni di grano e donazioni in denaro (al suo esordio fece distribuire 400 sesterzi a ogni cittadino).
Per farsi amare dal popolo Nerone faceva lanciare i “missilia” durante i giochi (specie di gettoni da lui inventati) a cui corrispondevano dei premi quali tessere per il grano, buoni per ritirare schiavi, vettovaglie diverse, vestiti, case, oro, argento, pietre preziose, perle, quadri, appezzamenti di terreno, e anche belve addomesticate. Si preoccupò anche della dignità del Senato. Ai senatori in difficoltà economiche assicurò una pensione annua minima che garantisse loro un adeguato status. Tutte misure che ci fanno pensare come Nerone, sebbene fosse un despota megalomane, pazzo e crudele, era animato allo stesso tempo da sentimenti umani.
Ora, però per una corretta valutazione d’insieme sulla personalità e il carattere di Nerone non si può prescindere dall’aspetto psicologico. Difatti non si può disconoscere come abbiano inciso negativamente le pressioni di Agrippina, una madre oppressiva e arrivista che gestiva la sua vita pubblica e privata in ogni forma. O quanto abbia agito negativamente sul suo carattere il condizionamento dei suoi due precettori, Seneca e Burro, uomini ambiziosi che lo usarono per governare loro stessi il mondo romano. Dopo un’adolescenza repressa in cui doveva sempre adeguarsi alle scelte altrui, a un certo punto Nerone si ribellò e sciolse le catene. Da allora, non più guidato dalla madre e da esperti consiglieri, improvvisamente si trovò da solo a reggere l’impero, ma in età troppo giovane e senza adeguata preparazione. Così cadde in balia del malefico prefetto del pretorio Ofronio Tigellino, e della nuova moglie Poppea Sabina. Si trovò circondato e travolto da uno stuolo di ruffiani e cortigiani che ne esaltarono l’estro poetico e artistico come principale strumento di governo. Si perché in verità le arti erano la più grande passione di Nerone. Sin da piccolo aveva mostrato una vera inclinazione per la musica e il canto, per la recitazione teatrale, la danza, la poesia, per la filosofia, la pittura e la scultura. Probabilmente era nato solo per fare questo.
Tacito dedica ben 3 volumi su 16 alla descrizione delle malefatte di Nerone. Non vi fu alcuna categoria di parenti e amici che fu al riparo dai suoi delitti. Basti ricordare che non solo eliminò suo fratello Britannico con un potente veleno costringendo il suo amico e precettore Seneca al suicidio ; ma avvelenò anche il suo fidato consigliere Burro. E alla sua follia non sopravvisse nemmeno la madre Agrippina, uccisa da un sicario e l’amatissima e ricchissima zia Domizia, facendole somministrare un potente emetico. Poi toccò alla ex moglie Ottavia, relegata in esilio a Ventotene, dove mandò sicari per costringerla al suicidio. Inoltre uccise personalmente anche la sua seconda moglie, la tanto amata Sabina Poppea. Con violenti calci in pancia. Una fine orribile, considerato che la poveretta morì insieme al figlio che portava in grembo. Ma fu dopo la scoperta di due congiure, e soprattutto quella dei Pisoni, che Nerone perse ogni freno inibitorio. Dopo aver visto che si tramava per deporlo e ucciderlo, senza più discernimento e senza nessuna moderazione fece morire, a suo capriccio, tutti coloro che riteneva nemici.
Gonfio di orgoglio per la sua onnipotenza dichiarò che nessun imperatore aveva mai saputo fare quello che invece lui era lecito fare. Basti pensare che a coloro a cui ordinava di suicidarsi, concedeva solo poche ore di tempo, e per prevenire ogni ritardo inviava loro insieme ai fedeli pretoriani anche dei medici, per prestare loro “ le cure”. In caso di esitazione le cure come le chiamava lui di aprire al condannato le vene e provocare senza indugio la morte.
Ma la cosa paradossale e contrastante di questo imperatore sanguinario, è che nonostante la sua natura selvaggia e bestiale, fu proprio con lui al governo che la cultura, l’arte e l’architettura a Roma ebbero tutti gli onori come non mai. Nerone, nonostante tutto, può essere considerato a tutti gli effetti il Principe che inaugurò il Rinascimento della Roma antica. Con lui la società romana raggiunse Il punto più alto di rinnovamento e raffinatezza culturale e artistica in ogni campo.
A proposito delle ricchezze e del denaro, Nerone era un uomo munifico e un dissipatore per eccellenza. Spendeva cifre enormi per arricchire la città con monumenti e opere d’arte. Pensava che non vi era altro motivo di avere denaro se non per sperperarlo. Ammirava suo zio Caligola soprattutto perché in poco tempo aveva fatto fuori le immense ricchezze ( due miliardi e settecento milioni di sesterzi) lasciate da Tiberio. Ma sentiamo Svetonio “ Non portò mai due volte lo stesso vestito, faceva durare i suoi banchetti da mezzogiorno a mezzanotte, ai dadi giocò fino a quattrocentomila sesterzi a punto. Non viaggiò mai con meno di mille vetture, con muli ferrati d’argento, con vetturini vestiti di lana di Canusio e con una schiera di vari corridori coperti di decorazioni e di braccialetti.” Senza contare le folli spese per la Domus Aurea, per estensione la più grande residenza, ancora oggi mai costruita da un sovrano europeo nel cuore della propria capitale ( 250 ettari). Progettata dagli architetti Severo e Celere era composta da una serie di padiglioni indipendenti inseriti in un paesaggio di campagna dove era stato ricavato un grande lago, dove si vedevano campi coltivati, vigneti pascoli e foreste abitate da ogni genere d’animali domestici e selvaggi. Il suo palazzo era dotato di meraviglie meccaniche di ogni genere tra cui acqua corrente solforosa o salata, proveniente dal mare, il più grande organo idraulico del mondo. Al suo interno tutto era ricoperto d’oro e rivestito di pietre preziose di perle e di conchiglie. Molti dei soffitti erano foderati da tavolette d’avorio mobili ed erano percorsi da tubazioni per poter lanciare sui commensali fiori e profumi. Una delle sale era rotonda e girava continuamente, giorno e notte su stessa, come la terra.
Nella sua residenza Nerone ideava divertimenti sempre più folli, come quando coperto dalla pelle di una bestia feroce, da una gabbia si lanciava sugli organi genitali di uomini e donne, legati ad un tronco. Comunque tra le azioni criminali per cui Nerone sarà ricordato in eterno,dobbiamo arrivare al luglio del 64, la data in cui si realizzò il più grande incendio di Roma (durato dal 19 al 28 luglio). Incalcolabile fu il numero dei morti, specialmente nelle zone popolari della Suburra. L’incendio iniziò nella zona del Circo Massimo, tra il Celio ed il Palatino: il vento ed il caldo trasformarono in pochissimo tempo il piccolo incendio in un mare compatto di fuoco. La popolazione accusò Nerone di aver provocato egli stesso l’incendio per fare posto alla Domus Aurea. Ma probabilmente ciò non fu vero. Invece è certamente vero che Nerone per togliere di mezzo ogni sospetto fece ricadere la colpa sui cristiani facendone arrestare e uccidere migliaia residenti a Roma. Nelle sue maglie incapparono anche i Santi Pietro e Paolo che così scontarono il martirio.
Escogitò ogni genere di condanna per rendere la morte dei cristiani il più atroce possibile. Molti furono crocifissi o dati in pasto alle belve, altri furono ricoperti di pelli di animali e poi lasciati correre nell’arena inseguiti e dilaniati da branchi di cani famelici. Ma la maggior parte fu uccisa in un modo ancora più atroce. Una notte invitò tutto il popolo romano ad assistere ad un nuovo spettacolo tenuto nei suoi giardini. Centinaia di cristiani vennero portati legati a dei pali e poi, coperti di materiali infiammabili, furono arsi vivi. I loro strilli furono tali da impietosire anche coloro che fino ad allora li avevano avuti in odio. Nerone era li a godersi lo spettacolo, in veste d’auriga ritto sul cocchio, era insieme a migliaia di sudditi nei suoi giardini illuminati da macabre fiaccole
Anche la morte di Nerone fu degna del personaggio come la classica fine di un dramma. Nel 68, quando Nerone aveva compiuto 30 anni, Giulio Vindice, un gallo romanizzato, legato imperiale a Lione, si ribellò contro la politica fiscale di Nerone. La rivolta si estese a tutta la Gallia e alle altre province occidentali, infine anche a quelle africane. Dopo che le legioni del generale Servio Sulpicio Galba si ammutinarono, l’8 giugno dello stesso anno il senato dichiarò Claudio Cesare Nerone nemico pubblico. La mattina dopo l’imperatore deposto scoprì che i pretoriani non presidiavano più il suo palazzo e la moglie Statilia Messalina era scomparsa. Abbandonato da tutti, lasciò furtivamente la città con pochi fedeli e si rifugiò in campagna nella casa di Faone, uno dei suoi liberti. E li, venne a sapere che lo stavano cercando vivo per punirlo secondo l’uso antico. Un supplizio che prevedeva per il condannato di essere spogliato completamente nudo, con la testa infilata in una forca per poi essere bastonato e vergato fino alla morte. Saputo questo, Nerone inorridito, afferrò i due pugnali che aveva portato con se , ne saggiò le punte, poi ci ripensò e li rimise nel loro fodero. Cominciò a disperarsi. Invitò chi era con lui ad iniziare i pianti e i lamenti di rito, ad altri supplicò di incoraggiarlo dandosi loro per primi la morte. Verso l’alba Nerone udì dei cavalli al galoppo nelle vicinanze. A quel punto non ebbe più dubbi, e con l’aiuto di Epafrodito si affondò la spada nella gola.
I suoi funerali costarono duecentomila sesterzi. Il corpo venne avvolto in coperte bianche intessute d’oro, e collocato in un sarcofago di porfido sormontato da un altare in marmo di Luni e circondato da una balaustra di pietra di Taso. Aveva 30 anni, il suo regno di follie ne durò ben 14 . E’ strano come per diversi anni, dopo la sua morte, in primavera e in estate, molti adornarono di fiori la sua tomba, altri esposero sui rostri le sue immagini vestito di pretesta (la toga usata dai supremi magistrati) , altri ancora affissero editti in cui egli annunciava, come fosse vivo, il suo prossimo ritorno per la rovina dei suoi nemici. Anche nei successivi mille anni dalla sua morte, il popolo di Roma, continuò a tributargli una sorta di spontaneo culto popolare, fino a quando, nel XII secolo, papa Pasquale II interruppe la tradizione di portar fiori sulla sua tomba di porfido, demolendola e costruendo al suo posto una cappella che sarebbe poi divenuta la chiesa di Santa Maria del Popolo. Napoleone Bonaparte da par suo diede una spiegazione all’amore popolare dei Romani: « Il popolo amava Nerone. Perché opprimeva i grandi ma era lieve con i piccoli ».
Fabio Longhi de Paolis
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