Il partito democratico dalla batosta elettorale non si è ancora ripreso ma al Nazareno, i vertici fanno capire che non è tempo di settimane bianche. Tantomeno con il partito nel caos. Sconfessare in questo momento un segretario sotto bagno non è proprio una cosa nobile ma la scelta di Renzi di andare a sciare, in attesa della direzione del partito, ha irritato tanti. Sui campi di neve lo seguiranno in pochi. Quasi nessuno tra coloro che lo sostengono e lo difendono sollecitando una difesa più energica per non morire sepolti dagli attacchi e dalle polemiche. Il vicesegretario del partito Debora Serracchiani, fiutata l’aria, si è dimessa. Meglio sparire che affrontare i processi. Martina prova a fare da parafulmine, ma, sembra, con scarsi risultati.
Le minoranze interne, da quella più morbida guidata da Cuperlo a quella più agitata ed agguerrita che fa capo al governatore della Puglia, Emiliano, la resa dei conti la vogliono subito. Prima che Mattarella dia inizio alle consultazioni per la formazione di un nuovo governo, esecutivo che lui e molti altri sarebbero disposti a valutare, tappandosi il naso e trattando con il nemico trionfatore, ovvero Di Maio e i Cinquestelle.
Ma Renzi non è affatto intenzionato a seguire questa strada, almeno per il momento. Non vuol sentir parlare di aperture verso Di Maio e compagni. Lo ha detto in maniera chiara prima di prendere zucchetto e sci. Chi vuole il dialogo con chi ci ha strapazzato, lo venga a dire in direzione. Unica voce in controtendenza rispetto a chi sollecita l’apertura, il neoiscritto Calenda, il ministro per lo sviluppo economico. “Come mi sono iscritto al Pd a dimostrazione del fatto che dobbiamo ricominciare da quest’ultimo per uscire dalla crisi- con la stessa rapidità sono pronto ad andarmene. Non vorrei che la mia iscrizione al partito – dice Calenda – diventasse la più breve iscrizione ad un partito nella storia della Repubblica…”.
Sopravvalutando un po’ troppo il proprio ruolo nella storia dell’Italia repubblicana, Calenda comunque pone una questione politica non di poco conto, anticipando i tempi di un a chiarimento che all’interno del Pd dovrà essere fatto quanto prima. Ed è proprio per questo che a molti non è andata giù l’idea della vacanza del segretario, il quale ancora una volta, sottovalutando umori e segnali della base come dei vertici del partito, è destinato a non andare molto lontano. Tanto più se poi la linea guida per le prossime settimane, dovesse restare quella della dimissioni ritardate.
Il tempo delle attese è finito. Il voto del 4 marzo ha rappresentato un autentico terremoto politico. L’Italia ha due nuovi padroni, gasati, determinati e non disponibili a fare sconti. Se lo possono permettere, controllano Paese e Parlamento dove il rapporto vincitori sconfitti è di 4 ad 1. Salvini, con l’aiuto di Berlusconi, nella sua qualità di primus inter pares in termini percentuali di voti nel centrodestra, chiederà al presidente Mattarella la legittimazione di un mandato pieno per cercare i numeri e andare a Palazzo Chigi.
Di Maio però gli fa eco e rivendica, da partito di maggioranza relativa, che “senza i Cinquestelle non si va da nessuna parte”. Come stallo, niente male. Intanto dal Nazareno fanno sapere che ieri sera, uscendo dagli uffici del partito, Renzi ha pensato bene di spegnere tutte le luci. Su Pd e sinistra, ora, è calato il buio più totale.
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