In merito alla vicenda che vede l’ex presidente francese Sarkozy in stato di fermo e sotto interrogatorio per un’inchiesta su presunti finanziamenti libici alla sua campagna elettorale del 2007, riproponiamo l’intervista a Saif Al-Islam, figlio del presidente libico Muhammar Gheddafi , pubblicata da Euronews il 16/03/2011. ultimo aggiornamento: 16/03/2011
Riad Muasses, euronews: Fin da prima dei recenti avvenimenti, lei si è proposto come “il volto nuovo della Libia riformista”. Qual è, oggi, il progetto riformista che propone a chi protesta contro il governo di Tripoli?
“Come avete visto, nelle ultime due settimane, non abbiamo assistito a semplici manifestazioni di piazza, ma all’intervento di milizie armate che terrorizzano la gente, uccidono, impiccano le persone. Avete visto come ad Al Baida hanno giustiziato i poliziotti, a Darna impiccato la gente ai ponti della città, a Misurata dato fuoco a un uomo sulla pubblica piazza… Questa gente non crede al dialogo, né ai diritti dell’uomo e tantomeno alla democrazia. Sono criminali, e per fortuna sono loro stessi a scattare le fotografie e girare i video, che testimoniano le loro atrocità. Ora il popolo libico si è rivoltato per difendere la sua terra e il suo paese. Ogni volta che il nostro esercito libera una città, la gente scende in strada festante per celebrare una nuova vittoria. Il popolo libico è unito contro i ribelli e i terroristi. Nello stesso esercito ci sono numerosi volontari che si sono impegnati a combattere. Le riforme politiche le porteremo avanti una volta che avremo ristabilito la pace e la normalità nel paese. Già prima eravamo pronti a fare delle riforme, introdurre una nuova costituzione, aprire a più libertà. Ora è però il tempo di combattere contro questi terroristi per liberare la Libia”.
Ritiene comunque che il paese abbia bisogno di importanti riforme..
“Sì, su questo siamo d’accordo. In questo momento, però, se si parla con la gente, quello che chiede è anzitutto una cosa: la sicurezza. Inutile, ora, parlare di infrastrutture e nuovi progetti, perché la popolazione ha vissuto il terrore che hanno seminato le milizie ribelli. Da qui la richiesta del popolo di ristabilire al più presto la pace e la sicurezza, che sono ora la nostra priorità. Le riforme verranno poi, una volta tornata la calma nel paese. Tra una settimana, due, forse un mese. Il tempo necessario a dare vita a una nuova Libia, governata da una nuova Costituzione e nuove leggi. E’ in questo momento che stiamo assistendo alla nascita della Libia di domani”.
Può confermarci la presenza tra i ribelli, di Al Qaida o di altri gruppi terroristici?
“Per essere chiari, la presenza di Al Qaida era circoscritta alle città di Zawia, Darna e Al Baida. Abbiamo però anche assistito all’apparizione di gruppi di assassini armati e di criminali, che si sono organizzati in milizie e hanno reclutato i giovani. Li avete visti nelle riprese televisive che bevevano alcool, mentre ascoltavano musica a volume altissimo e prendevano droghe. Ci troviamo quindi di fronte a tutti e due i fenomeni: milizie crimininali e gruppi islamici estremisti. Ed entrambi sono nemici del popolo libico”.
Quindi ci sarebbero soltanto milizie e gruppi islamici, non gente che manifesta contro il governo…
“Gli eventi più importanti sono avvenuti a Bengasi, nella città di Bengasi. Nei prossimi giorni ve ne forniremo le prove, con l’evidenza dei video che sono stati girati. Anzitutto ci sono alcuni uomini d’affari che hanno reclutato i lavoratori arabi che si trovano in Libia, chiedendo loro di scendere in piazza. La maggior parte delle persone che hanno manifestato sono egiziani e palestinesi disoccupati. In secondo luogo, può anche essere che a Benghazi ci siano dei contestatori di Gheddafi. Magari anche migliaia, ma su una popolazione che a Benghazi conta un milione e mezzo di abitanti. In Libia ci sono migliaia di persone che non credono in Gheddafi, come ce ne sono migliaia che non credono in Dio. Anche il nostro ex ministro degli esteri è fra questi, e non ha mai fatto mistero del suo ateismo. Ovviamente non possiamo dire che il popolo sia al 100% con Gheddafi”.
Quindi esclude un’influenza degli eventi che si sono prodotti in Egitto e in Tunisia?
“Non è una questione di influenza. Direi piuttosto una specie di moda, simile a quella che hanno seguito i giovani in Europa, durante la contestazione degli anni ’60. Non si deve inoltre dimenticare che ci sono televisioni arabe che stanno conducendo contro di noi una guerra mediatica, a colpi di falsità e menzogne. Ma ora la nostra gente l’ha finalmente capito. Una di queste televisioni ha addirittura detto che il nostro esercito ha attaccato il porto di Mezda. Ma Mezda è una città in pieno deserto… Le tv dei nostri “fratelli arabi” sono cadute a un livello talmente basso e umiliante che la gente ormai non le prende più sul serio. Oggi queste emittenti arabe che sono contro di noi sostengono addirittura che Tripoli sia caduta nelle mani di quella che chiamano la “Libia libera” e che combattimenti sarebbero in corso per le vie della capitale”.
In base ad alcune informazioni, le vostre forze armate sarebbero prossime a Bengasi e alla frontiera con l’Egitto. Come vi comporterete con tutti coloro che hanno manifestato contro il governo?
“La maggior parte di loro sono scappati. La gente che è dalla nostra parte ci ha chiesto di lasciarli andare. Di lasciar partire i traditori che sostengono gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia. La maggior parte di quelli che hanno invocato l’invio della flotta americana, il ritorno delle truppe britanniche o l’intervento dell’Onu sono in fuga verso l’Egitto. Ma noi non abbiamo intenzione di ucciderli o di vendicarci su questi traditori, che hanno tradito il loro popolo. A loro diciamo che possono andarsene tranquillamente in Egitto e lasciare il paese in tutta sicurezza, perché ormai la Libia non gli appartiene più. E sono già in molti quelli che hanno varcato la frontiera”.
Una risoluzione delle Nazioni Unite potrebbe dare il via libera alla ‘no fly-zone’ sulla Libia. Come reagireste a una simile eventualità?
“Le operazioni militari volgono al termine. Nelle prossime 48 ore sarà tutto finito. Le nostre forze sono quasi a Bengasi. Qualunque sia la decisione sarà troppo tardi”.
La Lega Araba considera illegittimo il regime libico. Cosa farà quindi Tripoli: abbandonerà la Lega Araba o continuerà a farne parte?
“E’ ridicolo. Parliamo di regimi che non sono affatto democratici, che non tengono elezioni e che sono guidati da presidenti che non sono eletti e non applicano né le leggi, né la costituzione. Sono i loro i regimi illegittimi. Il vero problema è il segretario della Lega Araba, Amr Moussa: quest’uomo è pagato dal Qatar, si prepara a una campagna presidenziale in Egitto e i ‘nostri fratelli’ del Qatar gli hanno chiesto di giocare questo ruolo. Siamo pienamente consapevoli di quanto si sta organizzando contro di noi. Amr Moussa non ha alcuna legittimità, come non ce l’hanno i leader dei paesi arabi. Paesi dove vigono regimi che si sono consolidati in seguito a dittature o per discendenza. E che agiscono come se fossero l’Unione Europea o gli Stati Uniti… Conosciamo bene questi teatrini. La nostra priorità, in questo momento, non è stabilire se restare o meno nella Lega Araba. Il tempo per questa decisione verrà. La nostra priorità, ora, è liberare il paese e porre fine ai combattimenti contro le milizie ribelli”.
Parigi è stata la prima a riconoscere la legittimità del Consiglio di transizione di Bengasi. Qual è ora la vostra posizione rispetto alla Francia e rispetto al presidente Sarkozy?
“Per prima cosa bisogna che Sarkozy restituisca alla Libia i soldi con cui ha finanziato la sua campagna elettorale. Siamo noi ad aver pagato la sua campagna, abbiamo a disposizione tutti i documenti e siamo pronti a renderli pubblici. Ecco la prima cosa che chiediamo a questo pagliaccio: ridarci i soldi del popolo libico. Ci hai deluso: ridacci il nostro denaro. Abbiamo ogni dettaglio: conti bancari, documenti, operazioni di trasferimento e presto riveleremo tutto”.
State prendendo in considerazione una transizione ereditaria del potere di padre in figlio?
“Questo argomento non ho intenzione di affrontarlo, perché ho già preso una decisione molto tempo fa. Ne ho parlato allora e non voglio pidi farlo”.
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