L’anno prossimo inizierà il secolo asiatico. Lo sostiene il Financial Times, il quale, citando i dati dell’Unctad, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo dell’Onu, rivela che nel 2020 le economie asiatiche, per la prima volta dal XIX secolo, saranno più grandi di tutte le altre economie del mondo messe insieme e concentreranno la metà della classe media mondiale. Nel 2000 esse pesavano circa un terzo della produzione globale. Nel XXI secolo l’Asia erediterà dunque il ruolo dominante che nel XX secolo è stato degli Stati Uniti e nel XIX secolo dell’Impero britannico. I dati sulle auto Già oggi in Asia risiede oltre metà della popolazione mondiale, 21 delle 30 delle maggiori città del Pianeta sono asiatiche e dal 2007 nella regione si comprano più auto e camion di qualsiasi altra area del resto del mondo. Dal 2030, secondo Lmc Automotive gli asiatici compreranno più autoveicoli di tutto il resto del mondo messo insieme. L’Asia “si trova al centro dell’attività economica globale”, ha detto il premier indiano, Narendra Modi, nell’ultima riunione annuale della Banca asiatica per gli investimenti infrastrutturali. “È diventato il principale motore di crescita del mondo. Stiamo vivendo quello che molti hanno definito il Secolo asiatico”. La Cina già sopra gli Usa In base ai calcoli del Financial Times, effettuati a parità di potere d’acquisto (Ppa) e cioè dopo aver esaminato i dati del Fmi sul Pil, rettificando le differenze di prezzo nei diversi paesi (il che consente di tener conto di ciò che gli asiatici possono realmente acquistare a casa loro, dove i prezzi sono spesso più economici), emerge che già oggi la Cina rappresenta il 19% della produzione mondiale, più degli Stati Uniti, mentre l’India è al terzo posto, con un Pil doppio rispetto a quello di Giappone e Germania. Borsa Tokyo Cina e India sono due giganti, ma la loro ascesa è solo la punta dell’iceberg dell’avanzata asiatica, alla quale, secondo il Ft, contribuiscono anche economie con quella dell’Indonesia, che nel 2020 diventerà la settima economia mondiale (in base al PPA) e nel 2023 supererà la Russia al sesto posto. Il Vietnam, una delle economie asiatiche più lanciate, ha superato 17 Paesi, tra cui il Belgio e la Svizzera. Le Filippine hanno un Pil superiore a quello dei Paesi Bassi, mentre il Bangladesh (poverissimo in termini di Pil pro-capite), sempre grazie al PPA ha sorpassato 13 economie negli ultimo 20 anni. Un primato antico La rivincita dell’Asia comincia nel Secondo dopoguerra grazie al boom Giappone e si rafforza negli ultimi 40 anni con i balzi in avanti prodigiosi delle Tigri asiatiche, come la Cina, Taiwan e la Corea del Sud. Ma in realtà l’Asia del XXI secolo si riappropria di un primato che era già suo nel 1700 e che il Continente ha perso nel 1800. “Verso la fine del XVII secolo, l’Europa guardava con ammirazione e invidia all’Asia, una regione del globo dove si concentravano più di due terzi del Pil mondiale e tre quarti della popolazione mondiale”, spiega al Ft Andrea Colli, professore di storia economica presso l’Università Bocconi. Nel diciottesimo secolo, secondo scrittore indiano Shashi Tharoor, la quota indiana dell’economia mondiale era grande quanto quella europea. Poi c’è stato un ribaltone e il ruolo dell’Asia nel mondo si è ridotto, mentre quello delle economie occidentali è decollato, alimentato dalla Rivoluzione scientifica, dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Industriale. Giappone, Corea e Cina “Quello che stiamo osservando è un grande capovolgimento”, dice Joel Mokyr, professore alla Northwestern University. “Tra il 1500 e il 1750 l’Europa è cambiata radicalmente; il resto del mondo no”. Negli anni ’50, l’Asia rappresentava meno del 20% della produzione mondiale, nonostante ospitasse più della metà della popolazione globale. “Nel XIX secolo, l’Asia, da centro manifatturiero mondiale che era, è stata trasformata in una classica economia sottosviluppata esportatrice di prodotti agricoli”, spiega Bob Allen, professore di storia economica all’Università di Abu Dhabi. Ma negli ultimi decenni questa tendenza è stata invertita. La straordinaria crescita del Giappone e della Corea del Sud, i primi paesi asiatici a raggiungere l’Occidente, è stata “sminuita” dal decollo della Cina, trainato dall’introduzione alla fine degli anni ’70 delle riforme orientate al mercato, varate dal leader cinese Deng Xiaoping. In appena un paio di generazioni, un “mix vincente di integrazione con l’economia globale attraverso il commercio e gli investimenti esteri diretti, alti tassi di risparmio, ingenti investimenti in capitale e solide politiche macroeconomiche” hanno contribuito a determinare un progresso economico senza eguali. Da 40 anni l’economia cinese corre senza sosta, a ritmi incredibili. La chiamano la fabbrica del mondo, perché ha una concentrazione industriale pazzesca. Mai nella storia una nazione così grande – un miliardo e 300 milioni di abitanti in un paese di 9 milioni di chilometri quadrati – aveva conosciuto una crescita così forte. L’andatura dello sviluppo è stata incredibilmente rapida, fin dall’inizio delle riforme economiche: da allora il tasso di crescita del Pil cinese ha mantenuto una media che supera il 9% e che solo recentemente ha rallentato, restando comunque intorno al 6,5%. Il modello giapponese, quello coreano e quello cinese hanno trasformato l’economia dell’Asia, che ora si appresta a scalzare l’Occidente. Anche la locomotiva indiana corre a velocità indiavolata. Il Fmi prevede che la crescita dell’India sarà del 7,3% su base annua nel 2018-19, del 7,5% nel 2019-20 e del 7,7% nel 2020-2021, superiore, in termini di crescita percentuale a quella della Cina, che sta leggermente frenando. “L’epoca dell’Occidente come potenza globale è alla fine”, sostiene Kishore Mahbubani nel suo ultimo libro “Has the West Lost It?”. Il recupero dell’Asia Negli ultimi cinquant’anni, centinaia di milioni di persone in Asia sono state tolte dalla povertà e molte economie asiatiche sono diventate a reddito medio o a status economico avanzato, secondo le definizioni della Banca Mondiale. L’Asia resta più povera rispetto al resto del mondo, ma il divario si sta restringendo. Il Pil pro capite cinese, calcolato in base al PPA, è ancora circa un terzo di quello degli Stati Uniti e circa il 44% di quello dell’Unione europea. Secondo il Fmi l’India ha un Pil pro capite in Ppa che è solo il 20% circa di quello dell’Ue. Tuttavia il divario di reddito pro capite tra India e Cina rispetto agli Stati Uniti e all’Europa si è ridotto drasticamente dal 2000. A metà degli anni ’90, la Cina e l’Africa sub-sahariana avevano livelli di produzione media pro-capite simili, ma nel 2000 la Cina era già diventata quasi cinque volte più ricca della regione africana. Ora, spiega Allen al Ft, l’Asia sta per rioccupare il centro dello scenario economico globale e quando lo farà “il mondo si ritroverà al punto di partenza”, cioè più o meno agli inizi del XIX secolo, quando l’Occidente ha messo il turbo e ha stritolato, grazie alla sua leadership tecnologica, il gigante asiatico.