Bastavano nove voti e l’Europa avrebbe cambiato volto e probabilmente anche strategie e obiettivi per i prossimi cinque anni. Per la storia comunque, i numeri dicono che il Parlamento di Strasburgo ha eletto Ursula Von der Leyen, il piccolo “mastino” della Cancelliera tedesca Merkel, notoriamente nostalgica della Ue del rigore e delle banche, con 383 voti a favore, 327 contrari, 22 astensioni e una scheda nulla. Nove voti dunque, una maggioranza sofferta e risicata, che attesta, tra le altre cose, come l’egemonia economica e finanziaria, prima ancora che politica della cupola pro Europa, non sia più schiacciante come un tempo.
Per la precisione la neo presidente della Commissione Europea ha avuto il sostegno del Ppe, dei liberali di Renew Europe e dei tre quarti dell’SeD, mentre i socialisti tedeschi della Spd, gli austriaci, gli olandesi, i polacchi e gli ungheresi non si sono genuflessi e non l’hanno votata. Così come i Verdi, la sinistra Gue, parte dei conservatori dell’Ecr e di Identità e democrazia. I 14 deputati del M5S hanno invece dato il loro sostegno mentre la Lega, che conta 29 eurodeputati, ha votato contro, come i deputati di Fratelli d’Italia.
Ed è forse questo il dato più sconcertante di questa vicenda che rischia di avere pesanti ripercussioni politiche su governo e maggioranza. Il premier Giuseppe Conte non ha perso occasione per esternare complimenti e risatine di assenso al discorso della neo presidente. Una chiara presa di distanza dalla Lega e da Salvini. Ma a giocare l’asso della partita sono stati i 14 grillini che hanno votato tutti a favore della Von der Leyen, diventando determinanti per la sua elezione.
E siccome al peggio non c’è limite, i pentastellati a Strasburgo se ne sono anche vantati dimenticando che gli italiani qualche settimana fa li avevano mandati in terra franco belga proprio per chiudere dodici anni di sacrifici, di lacrime e sangue perseguiti con incredibile tenacia ed arroganza, proprio dalla grande protettrice della neo presidente.
Alla fine della giostra resta una rivendicazione che potrebbe costare cara a Di Maio e compagni «Senza i nostri voti, determinanti, oggi saremmo davanti a una crisi istituzionale senza precedenti in Europa. Siamo stati ago della bilancia».
Si, questo è chiaro, così come altrettanto chiaro che il M5S ha scelto di fare da croce rossa ad un paziente che parte con grossi problemi. A cominciare da una maggioranza precaria che potrebbe riservare non pochi colpi di scena.
Un gesto politico gravissimo e carico di incognite quanto accaduto al Parlamento Ue. Da ieri i Cinque Stelle, sono entrati infatti nel campo degli “europeisti” convinti, ma anche negli schieramenti di sinistra del nostro Paese, che votando la Von der Leyen hanno voluto “rafforzare” l’Europa per difenderla dagli attacchi dei sovranisti, una realtà con la quale, il vecchio continente, è destinato comunque a fare i conti. Dovremo farcene una ragione.
Eppure all’inizio della nascita del movimento la sensazione di una vocazione a sinistra era già presente anche se una consistente fetta del loro elettorato guardava senza riserve a destra.
Al momento della sua fondazione nel 2009 il neonato partito di Grillo aveva un programma (la “Carta di Firenze”) fatto di 12 punti che riguardavano in maniera esclusiva la difesa dell’ambiente e dei cosiddetti “beni comuni” oltre all’idea di uguaglianza e di solidarietà.
Dirigenti e leader del Movimento si consideravano chiaramente come appartenenti alla grande famiglia della sinistra italiana ed europea. Grillo, ad esempio, proprio nell’autunno del 2009 tentò, peraltro senza successo, di candidarsi alle primarie per la scelta del segretario del PD. I primi fuoriusciti dal movimento, a cominciare dal sindaco di Parma Pizzarotti, vestirono la casacca renziana. Cosa che accade tutt’oggi con le scelte dei neo scomunicati del Movimento, che marciano indisturbati verso partiti del gruppo misto e non prendono minimamente in considerazione la destra di Salvini o il centro di Berlusconi.
A partire dal 2013 le linee politiche iniziarono a fluttuare, utilizzando la retorica scontata del “né di destra né di sinistra”, con i nuovi eletti in Parlamento che si “mimetizzavano”, esponendo solo le cinque stelle. Una direttiva simbolica ma chiara del nuovo corso. Con l’ascesa politica di Di Maio, però, questo spostamento, spinto anche dal vento in poppa di cui godeva Salvini, è stato ulteriormente confermato e il Movimento è sembrato adottare sempre più spesso un atteggiamento cinico e pragmatico in cui sulle questioni più identitarie e divisive veniva scelta, ogni volta, la posizione che appariva più condivisa dalla maggioranza degli italiani.
Una scelta opportunistica che serviva principalmente per restare a guardare in maniera attendista ed ambigua, giocando di rimessa nel momento in cui schierarsi avrebbe significato di fatto costringere gli italiani a scegliere sulla base dei propri convincimenti politici, scelta che avrebbe allontanato ancora una volta di più i cittadini dalle urne. E dal Movimento.
Come leggere il voto di Bruxelles? È solo tattica? Questa svolta a sinistra dei Cinquestelle, dove va a parare? Di Maio vuole davvero schiacciare Salvini sull’estrema destra e trovare al tempo stesso un po’ di spazio vitale dall’altra parte? Oppure ci troviamo di fronte ad una strategia di medio periodo che potrebbe tornare utile dopo eventuali elezioni anticipate? Per cosi dire un piano B, ovvero la costruzione di una alleanza alternativa con il Pd, a danno della Lega?
Considerati i tempi che viviamo, si tenderebbe a rispondere: è tattica. I leader di oggi non riescono a guardare altro se non ai sondaggi, figuriamoci se pensano poi di fare delle strategie. Cruciali saranno le prossime settimane ma il M5S sta cambiando rotta, mettendo l’alleato di governo in seria difficoltà. Non dimentichiamo la Tav, la questione dei migranti, l’autonomia e i superpoteri per il ministro del’Interno, l’Alitalia e da ultimo la votazione di ieri sulla Presidenza della Commissione Europea.
Se i pentastellati dovevano rappresentare il cambiamento grazie al motto “ mai più cambia bandiera o politici attaccati alla poltrona”, gli italiani avranno l’ennesima delusione e per loro si vanificherà la speranza di vedere cittadini in Parlamento per il bene del Paese, e non per interessi personali o di partito.
Conclusioni: il rischio di nuove, forti e motivate astensioni di massa è ormai realtà perché l’elettorato italiano non è solo stufo, ma anche indignato e offeso. La capriola di Bruxelles non è piaciuta e questo Di Maio e compagni lo sanno bene come sanno bene di essere finiti sub iudice o sotto schiaffo elettorale, se si preferisce.
Barbara Ruggiero
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