Per il governo si sta aprendo un pericoloso contenzioso legato alla gestione dei porti. La Ue infatti è pronta tassare l’attività controllata dalle nostre autorità portuali, sulle quali, se non si interviene per tempo, potrebbe calare una scure fiscale dalle pesanti conseguenze economiche per operatori e conti pubblici nazionali
Di cosa si tratta? La controversia legale con l’Unione Europea è iniziata nel 2017, quando all’Italia, in materia di attività portuale era stato chiesto di adeguarsi alle regole degli altri Stati Ue. In particolare Bruxelles ci chiedeva di poter riscuotere direttamente l’imposta sul reddito delle società di capitale, l’Ires. Peccato che le 15 Autorità di Sistema portuale italiano (Adsp) siano, da sempre, esentate dalla tassazione in quanto enti pubblici e quindi realtà facenti direttamente capo al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Ma per Bruxelles l’esenzione rappresenterebbe oggi è una chiara infrazione dei principi del libero mercato. In particolare la Direzione generale comunitaria sulla competizione che fa capo alla danese Margrethe Vestager ritiene che i nostri porti siano attività commerciali che producono illegittima concorrenza e incidono dannosamente sugli scambi tra i paesi Ue.
Per dirimere una questione giuridica e di diritto internazionale non da poco l’Italia ha tempo trenta giorni per bloccare la Ue, ed evitare lo tsunami fiscale senza precedenti che il diktat dei burocrati di Bruxelles potrebbe provocare.
Vediamo perché. Nel mirino c’è l’attività dei porti di Trieste, Venezia, Genova, Ancona, Cagliari, Napoli, Bari, Catania, Civitavecchia, La Spezia, Livorno, Messina, Palermo, Taranto e Gioia Tauro. Si tratta di 15 porti di importanza nevralgica per tutto il commercio navale mondiale, che nel caso dovesse passare la linea Ue saranno costretti a pagare le tasse allo Stato Italiano. In altre parole lo Stato si autotasserà per una proprietà già sua. Un vero paradosso che si riverbererà su tutte le attività, a cominciare da quella crocieristica.
Le navi dei sogni, rappresentano da decenni infatti un autentico business per gli scali italiani in testa alla classifica Ue con 1,9 milioni di passeggeri nel 2017. ovvero il 27% del totale di tutti quelli salpati da un porto europeo. Dietro di noi ci sono Spagna e, a debita distanza, Germania, Regno Unito e Belgio.
Dunque se si realizzasse questa temuta tassazione, l’effetto immediato sarebbe l’ aumento dei costi per le navi che si servono dei porti italiani, non solo per turismo ma anche per il carico/scarico commerciale. I nostri porti sono infatti più convenienti per le flotte del centro nord Europa in quanto l’attracco in Italia fa risparmiare in termini di ore di navigazione, e comporta un significativo sgravio dei costi.
Ma perché questo affondo della Ue? Il graduale soffocamento dei porti italiani è, da sempre, un obiettivo dei nordeuropei. Basti pensare che le società tedesche di gestione dei porti come Gioia Tauro e La Spezia, hanno si prodotto negli anni, business, ma perseguendo politiche che hanno comportato licenziamenti e danni irreparabili per tutto l’indotto locale e nazionale.
Un caso per tutti. Gli impianti e i macchinari del porto di Cagliari, nell’agosto del 2019 sono stati venduti tramite una società di Dussendhorf, la Eurokai, con il risultato finale di aver mandato a casa centinaia di lavoratori in un’area socialmente disagiata come la Sardegna.
Così come ha fatto la ben nota Ancelor Mittal, proprietaria dell’ex Ilva, che alla prima difficoltà giudiziaria si è defilata a gambe levate, lasciando ai lavoratori italiani l’incognita del futuro. Quella delle imprese straniere che vengono in Italia comprano a basso costo, non sviluppano e poi vendono al miglior offerente è una realtà ben nota.
Eppure fu proprio l’ex ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli a togliere ai tedeschi le concessioni sulle attività portuali, proprio per questo modo disinvolto di procedere.
Ma purtroppo proprio il cambio di Governo e con il partito democratico a vocazione “europeista” alla guida delle Infrastrutture, ha prodotto una resa incondizionata agli ultimatum di Bruxelles.
Con quali conseguenze? La politica colonizzatrice e dispotica a favore dei paesi nordici non potrà non provocare un ulteriore e grave danno per il nostro Paese, sempre più fanalino di coda di questa Europa che non la smette di punirci quando si decide di applicare con nefasta discrezionalità le regole comunitarie.
Barbara Ruggiero
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