I pini, simbolo di Roma dall’antichità, sarebbero condannati a morte da insetti infestanti come la ‘cocciniglia tartaruga’ o la ‘toumeyella parvicornis’. Una storia secolare alle spalle che rischia ora di essere azzerata almeno per 50 mila esemplari, dei 150 mila totali, di pino domestico che adornano i viali della Capitale.
Il pericolo è così serio che queste piante dall’ampio ombrello sempreverde che ha ispirato nel 1924 il compositore Respighi nel suo poema sinfonico ‘I pini di Roma, corrono il serio pericolo di non superare il prossimo anno. Ll’aggressione di questi parassiti produce una sorta di melata ovvero una sostanza zuccherina frutto degli escrementi degli insetti che succhiano i nutrienti alle foglie. La melata si deposita, e diventa terreno di coltura perfetto per un tipo di funghi, la fumaggine, che annerisce la parte inferiore della chioma e gli aghi. “In questo modo le foglie non riescono più a fare la fotosintesi”, avverte Pierfrancesco Malandrino, dottore forestale e arboricoltore, consulente in tema di verde e forestazione anche per Aeroporti di Roma e altri enti.
I primi segnali dell’attacco da parte dell’insetto americano al verde romano si sono visti “3-4 anni fa, poi l’esplosione” e le previsioni non sono delle migliori se consideriamo l’allarme degli addetti al verde urbano per il disseccamento che se non rende immediatamente instabile la pianta -ha sottolineato l’agronoma Sara Sacerdote – ci vuole del tempo perché ciò accada. La cocciniglia attacca infatti le foglie. Poi la chioma si secca e successivamente questo effetto si ripercuote sul fusto. Durante questo processo però la pianta non è instabile”. Lo diventa col trascorrere del tempo. Ed ovviamente se ne impiega di più se la pianta, in partenza, è sana. Motivo per cui conviene agire preventivamente. Investendo sulla ricerca delle soluzioni necessarie a salvaguardare il Pinus pinea, il pino romano. Un simbolo di questa città.“ “Tra settembre e l’anno prossimo ci sarà una situazione gravissima, con piante secche, a cui resta un solo destino: essere abbattute, per non diventare pericolose” per la cittadinanza”.
Effetto collaterale della globalizzazione
“La cocciniglia è un insetto proveniente dal Nord America, che ha colpito per prima la Campania, ed è poi arrivato a Roma cominciando a danneggiare le piante dei quartieri residenziali a sud, per poi giungere in centro”, racconta ancora Malandrino.
Un altro probabile e sfortunato esito della globalizzazione: “Sono le importazioni di piante e legname ad averlo introdotto nel nostro ambiente. E non è un caso che sia entrato proprio da una città portuale come Napoli“. Il rischio adesso non è solo ambientale, ma anche per l’uomo, perché una pianta disseccata è più fragile nei confronti degli agenti atmosferici, come vento e pioggia.
Come accorgersi di un pino malato
“Il segno dell’infestazione è la produzione di melata – illustra ancora il professionista – ossia una sostanza zuccherina frutto degli escrementi degli insetti che succhiano i nutrienti alle foglie. La melata si deposita, e diventa terreno di coltura perfetto per un tipo di funghi, la fumaggine, che annerisce la parte inferiore della chioma e gli aghi. In questo modo le foglie non riescono più a fare la fotosintesi”.
La guerra contro la cocciniglia è “difficile, soprattutto in città, perché non si possono spargere insetticidi a spruzzo tra le case”, ma anche per una questione di organizzazione e tempestività: “Non si ha ancora un protocollo di intervento del servizio fitosanitario nazionale e a seguire regionale”.
Servirebbe ‘la guerra biologica’
Al momento “sono noti interventi di endoterapia con insetticidi, in iniziative private, e si ha notizia di sperimentazioni anche da parte del Comune, ma non si ha ancora l’ufficialità”, constata Malandrino. Inoltre “non è stato trovato un insetto antagonista”, come era avvenuto ad esempio per il cinipide del castagno. In quel caso il turimus ha spazzato via l’insetto che aveva decimato i marroneti italiani circa cinque anni fa: esempio di successo di una ‘guerra biologica’.
La speranza è che con l’arrivo dell’autunno – ed è previsto – le autorità preposte si riuniscano per decidere il da farsi.
Ma il tempo stringe e gli appelli sono due. Il primo: “Non lasciare che le piante siano già a terra per prendere provvedimenti, come è avvenuto per il punteruolo delle palme“. E il secondo: “Intensificare i controlli alle frontiere sulle importazioni: al momento siamo molto carenti”.
Sarebbe servita una manutenzione programmata. Sarebbe servito un servizio Giardini efficiente, meglio strutturato con personale adeguato come numero di addetti e con professionalità e con mezzi non obsoleti, all’altezza di un patrimonio di verde pubblico considerevole e tra i più estesi d’Italia, pari al 30 per centro di tutta l’area edificata.Sarebbe servito anche un congruo budget per pianificare almeno gli interventi indispensabili. In altre parole, sarebbe servita una visione di ciò che deve essere, anche in questo campo, una Capitale d’Italia. Ma ormai è tardi per qualsiasi scelta: la campanella per la sindaca Raggi e la sua Giunta pentastellata sta per suonare.
A.B.
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