Chi lo ricordava per gli animali sezionati e messi in formaldeide, o per le pillole stipate in buon ordine in un armadietto da bagno, o per la serie di tele a pois colorati o ancora per il teschio umano tempestato di così tanti diamanti da far impallidire la corona della Regina Elisabetta, si stupirà di come le sculture di Damien Hirst sappiano dialogare perfettamente con la collezione di marmi della Galleria Borghese.
Il Bad boy della YBA (Young British Artists) – generazione di artisti britannici emersi negli anni’90 – nato a Bristol ma cresciuto artisticamente a Londra, è diventato celebre più per alcune opere ritenute al limite della frode che non per le proprie abilità artistiche, non se intese in senso tradizionale perlomeno. A portare nel 2005 il suo nome all’attenzione del mondo fu infatti la vendita all’imprenditore Steve Cohen, per la cifra da capogiro di 12 milioni di dollari, dell’opera “The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living”: uno squalo tigre catturato in Australia, che nel 1991 Hirst mise “semplicemente” in formaldeide all’interno di una teca, e che divenne parte della collezione di Charls Saatchi, committente dell’opera. All’epoca della vendita milionaria lo squalo, ormai deteriorato, venne sostituito con uno nuovo, si aprì allora una capziosa discussione tra chi contestava lo statuto d’arte di un’opera il cui elemento costitutivo poteva tranquillamente essere rimpiazzato e chi già chiamava Hirst un genio senza eguali, precursore di molte tendenze dell’arte concettuale degli anni a venire.
Al di là delle polemiche che lo hanno spesso visto coinvolto Hirst è un artista visionario e di grande potenza comunicativa e lo esprime egregiamente attraverso le 80 opere esposte in questa personale intitolata “Archeology Now!” voluta a Roma da Anna Coliva – che l’ha ideata e che ne cura l’allestimento insieme a Mario Codognato – in scena nelle sale della Galleria Borghese dall’8 giugno fino al 7 novembre 2021.
Sebbene alcune di queste opere siano state già viste in Italia nel 2017 a Venezia, quando Palazzo Grassi ospitò la mostra “Treasure from the wreck of the Unbelievable” in cui Hirst fingeva il ritrovamento della mastodontica collezione di Cif Amotan II – secondo la leggenda perduta durante il naufragio della nave “Apistos” che avrebbe dovuto portarla in oriente duemila anni fa – l’effetto straordinario che genera l’incontro tra questi “reperti” incrostati di corallo e le statue del Canova e del Bernini è assolutamente unico. La volontà dei curatori, pienamente soddisfatta dagli esiti dell’allestimento, è quella di instaurare un dialogo tra passato e contemporaneo, tra realtà e finzione, tra veri capolavori della storia dell’arte e opere prodotte con le tecnologie odierne, che riescono a imitarne le fattezze.
“I lavori di Hirst vengono quasi assorbiti all’interno della Galleria Borghese, come se fossero una sua collezione – sostiene Anna Coliva – Le sculture di questa falsa leggenda, da lui creata, acquisiscono ulteriore significato nella relazione con le opere storiche nella collezione permanente e, al contempo, queste ultime diventano quasi leggendarie, in relazione con i nuovi lavori”.
Un dialogo dunque anche tra Damien Hirst inventore di una collezione immaginaria e il cardinale Scipione Borghese, uno dei più importanti mecenati e collezionisti del primo Seicento cui dobbiamo la maggior parte dei tesori custoditi nella sua Villa; secondo gli allestitori le opere di Hirst esaltano il desiderio di multiformità del Cardinale, la cui fantasia era quella di superare le categorie, non solo tra le arti, ma anche tra realtà e finzione.
Il visitatore si muove allora tra le sale in una vera e propria caccia al tesoro tra marmi di Carrara e bronzi dorati, tra lapislazzuli e malachite con cui sono state plasmate le sculture, poi lavorate a rilievo con coralli e cristalli di rocca, granito e alabastro, foglie d’oro e argento, opale e agata bianca, ed è sedotto e conquistato dall’incredibile varietà delle opere esposte che giocano con i diversi canoni storici così come con le dimensioni, spaziando dalle piccole alle grandi e grandissime, come la colossale “Hydra and Kali” collocata nello spazio esterno del Giardino Segreto dell’Uccelliera.
La mostra, resa possibile grazie all’importante supporto di Fondazione Prada, è una riflessione profonda sul nostro rapporto con il collezionismo e i musei, sul tempo, capace di trasformare gli oggetti contemporanei in opere d’arte, sul grande valore che attribuiamo ai reperti della nostra storia passata.
E’ indubbio che la principale qualità di Damien Hirst, che non ha mai perso fin dai suoi esordi, è la lucida capacità di spingere all’estremo i confini di quanto consideriamo arte.
Elisa Rocca
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