Si chiamano così i cancelli dell’ “All England lawn tennis and croquet club”, il circolo di tennis che ospita il torneo più antico e prestigioso del calendario internazionale. In onore dei fratelli inglesi, Reginald e Laurie Doherty, dominatori sui prati tra la fine dell’800 e i primi del ‘900. E sì perché si sta parlando di una storia, quella del torneo di Wimbledon, che abbraccia ben tre secoli. Una storia giunta al capitolo numero 125, tante sono state ( compresa quella di quest’anno) le edizioni che si sono celebrate con le uniche interruzioni dovute ai due conflitti mondiali ( non si è disputato, infatti, dal 1915 al 1918 e dal 1940 al 1945). Un torneo che ha sempre fatto del rispetto delle tradizioni il suo marchio di fabbrica, dando la stura ad ampia pubblicistica sulla materia. In pieno british style. Ma se questo è innegabilmente vero per gli aspetti più folkloristici del torneo, come le lunghissime code di appassionati in cerca dei pochissimi biglietti lasciati liberi che si formano sin dalla notte che precede una giornata di incontri, per la distribuzione massiccia di fragole con panna, per il cerimoniale della premiazione che ha sempre avuto come protagonisti il duca e la duchessa di Kent, per l’inchino dei giocatori sul centre court davanti al royal box, è altrettanto vero che gli inglesi si sono dimostrati tra i meno conservatori per aspetti organizzativi e sostanziali. Essendo Wimbledon il più antico torneo del mondo ( la prima edizione si tenne nel lontanissimo 1877, con l’inizio della finale posticipato perché doveva terminare la tradizionale sfida di cricket tra i colleges di Eton e Harrow che la precedeva, cosa che, oggi, farebbe sorridere), è stato anche il primo torneo di tennis a prevedere un tabellone femminile ( nel 1884, stessa data dell’ingresso delle competizioni di doppio). Gli inglesi, poi, sono stati i primi in assoluto a deliberare l’apertura del proprio torneo ai giocatori professionisti. La decisione venne presa nel 1967 e , per celebrarla, venne organizzato, proprio sul centre court, un torneo riservato ai soli professionisti. Veniva decretato, così, l’avvento del tennis “open” e, con esso, anche la fine dell’ipocrisia che voleva, fino ad allora, i tornei dello Slam riservati ai soli “dilettanti” ( che, in realtà, percepivano anch’essi compensi, ma sottobanco), anche se, a causa della successione del calendario, sarebbe stato il Roland Garros ad essere il primo Slam open, nel 1968. Wimbledon ( ma in questo, i primi sono stati gli australiani, nel loro torneo) si è anche dotato di un tetto scorrevole per consentire, almeno sul campo centrale, la prosecuzione del gioco, nonostante la pioggia (elemento che, data la stagione, rappresenta un ospite quasi fisso in ogni edizione del torneo). Anche l’amata erba, che può apparire ai più come un vezzo anacronistico ( sono solo sei, infatti, i tornei che si disputano attualmente sui prati, presenti nel calendario), non è stata immune da cambiamenti e, per assicurarsi la presenza di tutti i giocatori ( compresi gli specialisti della terra battuta), è stata gradualmente resa più lenta, tanto da consentire ai giocatori un decimo di secondo in più per ribattere il colpo dell’avversario. Una frazione di secondo che, a questi livelli, fa tutta la differenza del mondo. Questo, ma non solo, spiega i due trionfi di Nadal e le sue epiche sfide alla pari nel 2006, 2007 e 2008 con il pluridecorato Federer, a sua volta, piuttosto restio a praticare un serve & volley sistematico. Inoltre, va dato atto agli organizzatori britannici di aver sempre rivisitato, secondo propri criteri ( principalmente l’adattabilità alla superficie erbosa dei vari giocatori), le classifiche mondiali ai fini dell’assegnazione delle teste di serie. Un torneo, quello di Wimbledon, che verrebbe istintivo associare all’idea della tradizione e della conservazione, ma che, alla prova dei fatti, si è mostrato meno conservatore di quanto ci si aspettasse. E, a proposito di teste di serie, viene facile indicare nei primi quattro giocatori del seeding ( che, stavolta, coincidono con i primi quattro giocatori della classifica mondiale) gli indiscussi favoriti. Molta curiosità desta, in particolare, il torneo di Andy Murray. Lo scozzese, a cui si affidano tutti i sostenitori di Sua Maestà, gioca con addosso il fardello di dover interrompere un digiuno che, in campo maschile, si protrae dal lontanissimo 1936, anno dell’ultimo successo di un suddito della Regina, Fred Perry. Quello delle magliette, sì.
Dalla sua parte di tabellone, il sorteggio ha voluto il numero uno, Rafa Nadal, per un’eventuale ( e più che probabile) riedizione della recente semifinale del Roland Garros, nonché della scorsa edizione del torneo londinese. Numero uno ancora per poco, comunque. Numeri alla mano, infatti, potrebbe non bastare all’iberico nemmeno un successo. Infatti, dall’altra parte del tabellone, Nole Djokovic, è consapevole che, anche solo un suo approdo alla finale, gli garantirebbe quel sorpasso, già mancato di poco a Parigi. Ma Wimbledon vale più di qualunque speculazione in termini di punti in classifica e c’è da giurare che se il serbo dovesse arrivare alla seconda domenica del torneo, un’eventuale sconfitta lo lascerebbe molto deluso e il fresco primato non lo consolerebbe affatto. Il problema principale di Djokovic, però, oltre ad una condizione non ottimale, denunciata dal diretto interessato, è dato dal possibile incrocio con colui che, su questi campi, ha già fatto la storia del torneo, Roger Federer. L’ex numero uno del mondo, infatti, ha già ben sei trofei in bacheca e gioca per la storia. Con un’altra vittoria raggiungerebbe un’altra icona assoluta di questo sport, Pete Sampras ( oltre a William Renshaw, le cui sette vittorie, però, sono state conseguite in un’epoca in cui vigeva ancora il challenge round, per cui il vincitore di un’edizione attendeva comodamente in finale il vincitore del torneo riservato agli sfidanti…). Lo svizzero rimane, a tutt’oggi, oltre al giocatore di maggior talento sul circuito, anche quello, dei “fab four” con la maggior attitudine “erbivora”. Volendo lanciarsi in un pronostico, è abbastanza facile prevedere i quattro in semifinale. E un quarto capitolo dell’infinita saga Nadal-Federer non costituirebbe un epilogo così sorprendente. Ben più fluida appare, invece, la situazione nel tabellone femminile. Quasi mai, infatti, era regnata così sovrana l’incertezza circa il nome di una possibile favorita. La storia recente del torneo suggerisce, senza tema di smentita, che questa sia la riserva di caccia per eccellenza delle sorelle Williams. Dal 2000, infatti, solo in due occasioni ha vinto una giocatrice diversa ( la Sharapova nel 2004, e la Mauresmo nel 2006, nell’unica volta in cui non erano riuscite a raggiungere la finale né Venus, né Serena). Per la cronaca, cinque sono state le affermazioni di Venus, quattro quelle di Serena che, però, conduce per 3 a 1 le sfide in famiglia nelle finali. Logiche favorite, dunque? Non è proprio così. Entrambe vengono da periodi piuttosto prolungati di inattività forzata. Serena, in particolare, a parte il torneo di rodaggio a Eastbourne, tradizionale prologo di Wimbledon, non gioca praticamente da un anno esatto. Proprio dall’ultima finale a Church Road. Vinta, ovviamente. Saranno determinanti i primi tre turni. Se le Williams dovessero superarli, scrollata di dosso la ruggine e riacquisito un minimo di ritmo-partita, allora tornerebbero ad essere guai seri per le altre pretendenti al trono. Le “sorellone” ci hanno abituato, ormai, a lunghe pause e, poi, a rientri clamorosi. E restano le più attrezzate in rapporto alla superficie. Per questo non le si possono escludere dal novero delle favorite neanche stavolta. Certo è che, ogni anno che passa, diventa sicuramente più difficile un rentrèe trionfale.
Ma quali sono le rivali? Sicuramente in prima fila c’è Maria Sharapova, a sua volta a lungo ferma ai box, ma che qui ha già vinto una volta ( proprio contro Serena, in finale) e che ha potenza e aggressività che ben si confanno a questi campi. Inoltre, ha fatto registrare una notevole crescita tecnica, vincendo a Roma e raggiungendo la semifinale a Parigi, sulla superficie a lei meno congeniale, la terra battuta. Rappresenta sicuramente l’alternativa più credibile. La finalista dello scorso anno, Vera Zvonareva, non sembra dare molto affidamento e difficilmente riuscirà a replicare il risultato del 2010. La numero uno del mondo, Caroline Wozniacki, che è ancora a secco di vittorie negli Slam, aggiunge ad una preoccupante fragilità nei quattro tornei più importanti, uno stile di gioco troppo speculativo che sull’erba paga poco. Interessanti le prospettive della giovane ceca, Petra Kvitova, potente e mancina ( il che, sull’erba, non guasta mai). La picchiatrice Azarenka può fare strada e dare ulteriore continuità ai suoi progressi, ma non pare ancora pronta su di una superficie che, per rallentata che sia, non offre, in ogni caso, quei rimbalzi così alti e puliti delle superfici dure che rimangono il suo terreno preferito. Attenzione, infine a Marion Bartoli. La francese, già finalista a sorpresa nel 2007, ha quella facilità nel far uscire la pallina dalla racchetta che a Wimbledon è dote che premia. E ha dimostrato a Parigi ( ma anche nel recentissimo prologo di Eastbourne, vinto proprio sulla Kvitova) di essere in gran spolvero. E l’Italtennis? I successi di Seppi a Eastbourne e della Vinci a ‘S-Hertogenbosch, primi trionfi italiani in tornei su erba, rappresentano il miglior viatico possibile per Wimbledon. Ma, difficilmente in campo maschile si potrà andare oltre la soddisfazione di qualche turno superato. La semifinale di Nicola Pietrangeli raggiunta nel 1960, c’è da giurarci, resterà il miglior risultato di un tennista azzurro anche dopo quest’edizione. Tutt’altra storia nel femminile dove, comunque, più ancora del tennis brillante e aggressivo di Roberta Vinci, le speranze di ottenere un risultato di rilievo poggiano ancora sulle spalle di Francesca Schiavone. I quarti di finale potrebbero essere alla sua portata ( già raggiunti nel 2009, sua miglior prestazione londinese), anche se l’erba non è la superficie che meglio valorizza gli anelli di preparazione piuttosto ampi che connotano i colpi della milanese. In attesa di segnali di risveglio da parte di Flavia Pennetta che, in singolare, sta facendo registrare da qualche tempo ormai, una preoccupante involuzione.
Daniele Puppo
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