Il paragone scelto dal Financial Times è il Vietnam. Per la BBC è il caso Lehman Brothers. Oggetto: eurozona, banche e crisi del debito. In Vietnam, dicono i commentatori americani, i politici optarono per scelte più a buon mercato: le più facili e meno impopolari; quelle che procastinavano di fatto la soluzione, permettevano alla guerra di continuare e amplificarsi per inerzia ed erano appena sufficienti ad evitare il disastro sul breve periodo. Finché, quelle stesse politiche crollarono addosso ai loro artefici. Anche la testata britannica si sofferma sul legame tra crisi e opportunità politica.
Durante il caso Lehman, dicono i giornalisti inglesi, il tesoro Usa non percepì il sostegno politico al salvataggio della banca, e la lasciò fallire. “Forse fu un errore” è il commento. Un errore che comportò – e in proporzioni molto più grandi – esattamente quello che si era voluto evitare: l’immissione di triliardi di dollari pubblici nel mercato finanziario. Oggi è la Germania a dover compiere una scelta: il suo governo è in crisi di popolarità e i suoi cittadini sono stufi di pagare il debito degli altri stati. Nello stesso tempo, è la Germania la principale sostenitrice – e, per alcuni, anche beneficiaria – della valuta comune. Sono state le politiche tedesche ad imporre l’alto tasso del denaro durante i primi anni dell’Euro. Ed è la sua economia ad aver beneficiato della ridotta concorrenzialità di paesi, come l’Italia, azzoppati dal costo del denaro e dai pochi investimenti produttivi imposti dalle politche di bilancio. E’ la Germania, infine, che ha voluto fare dell’Euro una valuta di riserva internazionale a fianco del dollaro. Per questo è anche il paese che avrebbe più da perdere dal fallimento della Grecia e dal terremoto che investirebbe l’Euro. Più di quanto gli costi sostenere, ora, il debito ellenico. Deve, però, dare ad intendere ai sui cittadini di esigere rigore in cambio dei suoi esborsi. “Disciplina” è quella pretesa dal ministro e delle finanze tedesco Wolfgang Schäubl per gli stati mediterranei. Disciplina vuol dire misure di austerità. Un richiesta sottolineata dal rinvio di una tranche da otto miliardi di Euro alla Grecia. Se ne riparlerà ad ottobre. A metà ottobre, però, la Grecia finirà i soldi per pagare i dipendenti. Ha bisogno di quei finanziamentik, e lo sa. “Dobbiamo raggiungere gli obiettivi fiscali del 2011 e del 2012” ha detto, infatti, il ministro delle finanze greco Evangelos Venizelos mentre il gabinetto studia ulteriori misure di riduzione della spesa – si parla di altri 20mila licenziamenti nel settore pubblico e di tagli a stipendi e pensioni. Ma il governo greco sa anche che misure così critiche – oltre ad essere sommamente impopolari – riducono crescita e gettito fiscale, rendendo necessarie, in una vera e propria reazione a catena, ulteriori misure d’austerità e la stipula di prestiti sempre più frequenti per pagare gli interessi in crescita dei precedenti. Per questo, anche se la Grecia non è fin qui riuscita a soddisfare completamente gli obiettivi di bilancio che si era imposta, Venizelos ha lanciato un monito alle autorità monetarie: “Non saremo il capro espiatorio né la facile scusa delle istituzione europee e internazionali per nascondere la loro incapacità di gestire la crisi e dare una risposta definitica agli attacchi (speculativi) contro l’Euro, la più forte delle valute”. Un riferimento non casuale alla valuta comune. C’è, infatti, un’altra cosa che il governo greco sa bene: e cioè che, se fallirà, non fallirà da solo. E’ iniziato un gioco sul filo del rasoio – commenta la BBC – dove ogni contendente utilizza lo spettro della catastrofe per ottenere concessioni. “Quello politico” commenta però Jerome Booth, alto dirigente all’interno dell’Ashmore Investment Management “non è un processo razionale e la crisi crea miopia”. Il rischio, pertanto, è che il gioco diventi realtà prima che i concorrenti abbiano il buon senso di fermarsi.
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