Il politologo Marco Revelli, attento studioso “da sinistra” delle varie destre, ha invitato a non unificare in un unico giudizio e in un’unica interpretazione tutto ciò che nella seconda parte del secolo scorso è stato collocato, legittimamente o meno, nell’orizzonte postfascista.
In particolare, ha sottolineato Revelli, già tra il 1974 e la metà degli anni Ottanta gli esponenti della cosiddetta Nuova destra erano in possesso di codici adeguati a interpretare la contemporaneità, «quelli appunto generatisi nella grande cultura novecentesca, che li includevano in una forma possibile della comunicazione. Quel segno è rimasto, quell’abitudine al pensiero ha permesso a molti un’evoluzione convergente con l’area democratica delle culture politiche del nostro paese». Questa evoluzione, questo specifico fenomeno di fuoriuscita da una perimetrazione politico-ideologica data e di sfondamento in campo aperto da parte di figure ed esperienze avviatesi da un contesto originario neo o post fascista è il tema di un interessante e utile libro di Giovanni Tarantino Da Giovane Europa ai Campi Hobbit (Controcorrente edizioni, pp. 204, euro 10,00), un saggio che, come annota Luigi G. de Anna nella postfazione, ha innanzitutto il merito di aver tolto il cono d’ombra che impediva sinora di conoscere davvero tutta una serie di fenomeni movimentisti sui quale gravava l’impossibilità di una documentazione adeguata: «Solo poche riviste erano approdate nelle biblioteche nazionali o presso istituti di studio di storia contemporanea, moltissime pubblicazioni uscivano per brevi periodi e poi scomparivano, il ciclostile era spesso il solo mezzo di stampa usato e quei fogli sono oggi introvabili. I volantini e molti documenti si sono dispersi e solo qualcuno tra gli interessati li ha conservati». Giovanni Tarantino invece, sin da quando era un giovane liceale contrario all’intervento militare in Kossovo, incuriosito dalla scoperta di persone provenienti da destra che si schieravano come gli esponenti di Rifondazione o dei Verdi vuole capirne di più e inizia a cercare libri e riviste, a scrivere ai protagonisti di quelle stagioni politico-culturali degli anni Sessanta e Settanta, ne raccoglie alcune testimonianze, di alcuni ne diventa amico personale. E a un certo punto si convince che certi fenomeni e certe biografie vanno «raccontate e spiegate oltre la convenzionale collocazione storiografica all’interno della sola galassia neofascista o postfascista». Prima ne viene fuori la sua tesi di laurea in storia contemporanea, ma poi la sua ricerca prosegue con l’inizio della sua vocazione giornalistica. Inizia infatti a intervistare altri protagonisti di quel filone, ne scrive articoli, recensisce saggi usciti negli ultimi anni. «Da allora – scrive adesso nella prefazione di questo libro, il cui sottotitolo è “1966-1986: vent’anni di esperienze movimentiste al di là della destra e della sinistra” – attraverso un interessante viaggio a ritroso sono approdato al clima del pre-Sessantotto e mi sono soffermato soprattutto su due esperienze, Giovane Europa e la cosiddetta Nuova destra, apparentemente diverse tra loro per contesto storico, ma che sono poi venute a intrecciarsi e hanno avuto senz’altro più di qualcosa in comune. In particolare, facendo riferimento al mondo giovanile da quale queste realtà nascevano emerge un dato fondamentale: le pulsioni di chi le animava erano appropriatamente contestualizzate nell’ambito dei grandi fenomeni generazionali di due precisi e determinati momenti di svolta epocale: il Sessantotto e il Settantasette, di cui hanno rappresentato espressioni compiute e legittime». Come spiegare d’altronde, itinerari, come quelli che il libro per la prima volta mette insieme e racconta? Quello di Pino Masi, ad esempio, che inizia come collaboratore di Beppe Niccolai e finisce per avvicinarsi a Adriano Sofri e diventare il cantautore di Lotta Continua. Oppure la vicenda di Piero Verni, da giovanissimo corrispondente romano di Giovane Europa a collaboratore della rivista libertaria Re Nudo e poi, vicino ai radicali, animatore dell’associazione Italia-Tibet. E che dire di Enzo Biffi Gentili, giovane responsabile di Giovane Europa a Torino e poi vicesindaco socialista che nel 1980, unico a sinistra insieme al suo amico Gianni Dolino, polemizza contro la marcia dei 40mila del 1980? Oppure di Massimo Brutti, esponente nel 1968 di Forza Uomo, un’organizzazione di fascisti di sinistra ex del Fuan, e successivamente esponente della Cgil, del Pci e del Pd. E Sergio Caputo, il cantautore che prima di esordire alla fine degli anni Settanta al Convento Occupato e al Folkstudio scoperto da Ernesto Bassignano, aveva animato la rivista Alternativa del Fronte della Gioventù romano e sperimentato una sorta di via freak al postfascismo? Per arrivare sino a quella generazione dei Campi Hobbit degli anni Settanta, della quale più di qualcuno, come Umberto Croppi, finiranno per partecipare alla nascita di Nessuno tocchi Caino oppure a fare politica anche con i Verdi. Oppure ai ragazzi napoletani che, come racconta nel libro l’ex di Università Europea Emiddio Novi, proseguiranno dopo il Sessantotto, «a far politica ma molti con i radicali».
Per tutti forse vale quanto ammette lo storico Franco Cardini, che da ragazzo militò in Giovane Europa, nella prefazione: «Eravamo, semplicemente, ragazzi che avevano sbagliato collocazione: e che forse non ne hanno mai saputo costruire una politicamente plausibile». Il movimento europeista fondato da Jean Thiriart, Jeune Europa appunto, l’associazione L’Orologio animata negli stessi anni da Luciano Lucci Chiarissi e quindi la generazione dei Campi Hobbit, da nome dei raduni che tra il ’77 e l’80 espressero plasticamente una nuova antropologia che rompeva con il neofascismo, sono forse spiegabili così: «Il tentativo – annota Tarantino – di sviluppare nuove sintesi e percorsi possibili oltre gli steccati destra/sinistra, l’abbandono del nazionalismo, la fuoriuscita dal tunnel del fascismo, l’attenzione a un comune sentire europeo, segnavano una distacco oggettivo tra queste componenti e la destra, sia quella politico-parlamentare che quella culturale di stampo conservatore». Significativa un documento che Tarantino riporta e risalente al 1981, con il quale un gruppo di “camerati” protestavano contro la “deriva sinistrorsa” del gruppo dei Campi Hobbit: «Gravi segni ci indicano che è in atto un processo di sfaldamento. Voler parlare anche a sinistra è significato per molti, per troppi, mutuare sic et simpliciter il linguaggio, i modi e spesso le idee della sinistra, inoculando germi anarcoidi e libertari. Alcuni camerati si sono riscoperti filo palestinesi, in qualche caso sembrano addirittura mussulmani…». Segno che qualcosa stava avvenendo nel senso della constatazione di Marco Revelli da cui siamo partiti. Se Leoluca Orlando ricorda – lo riporta Tarantino – come «a noi studenti democratici che affollavamo a migliaia i cortei nel Sessantotto poteva capitare, come ci capitò, di essere guidati da un esponente del Fuan», accadrà quindi che tra il 1992 e il 1993 alcuni provenienti dall’esperienza dei Campi Hobbit siano poi finiti a dialogare con lo stesso Orlando, oppure con i radicali o gli ambientalisti, nella stagione della lotta antimafia e della ricerca di una nuova sintesi politica. Tanto più questo è vero adesso dopo che i cosiddetti “strappi” di Gianfranco Fini – sull’immigrazione, sui diritti, sull’europeismo, sulla rivalutazione del Sessantotto, sull’incompatibilità di una certa sensibilità con il conservatorismo populista di Berlusconi – hanno liberato il campo dalle ipoteche legate al passato e da qualsiasi riflesso condizionato. Non possono infatti più funzionare richiami della foresta o sirene come sono in passato stati l’almirantismo o il riferimento retorico a una presunta destra sociale, imbrogli che aggregavano sensibilità come quelle che descrive Tarantino per strumentalizzarle di fatto in una strategia di destra. Non per contraddire Cardini, ma i ragazzi di Giovane Europa e dei Campi Hobbit forse non avevano affatto sbagliato collocazione. E perché non ammettere allora che, magari inconsapevolmente, sono stati anticipatori dei tempi nuovi?
Luciano Lanna
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