Nella Capitale torna, anche se con tonalità basse, la voglia di far politica, di parlare di politica e di misurarsi con qualcuno, per vedere dove può portare l’avventura delle elezioni amministrative che si terranno ai primi di giugno. I romani, notoriamente pigri e attendisti, per il momento restano al balcone ma strappi e liti (soprattutto a destra) insieme a qualche sondaggio, non del tutto disinteressato da parte di organi di stampa o istituti di ricerca demografica, stanno ravvivando un pochino il clima di una città da due anni in preda solo alle convulsioni aritmiche di sviluppi giudiziari ormai avviati stancamente al tramonto in attesa di sentenze che comunque non si potranno avere prima della consultazione amministrativa.
Ad animare la vigilia e l’attesa del confronto ci sono però, come dicevamo, gli apparentamenti, le scelte e i divorzi che a destra come a sinistra tengono desta l’attenzione. Nelle ultime ore una domanda si è imposta su tutto: ha fatto bene Giorgia Meloni , leader di Fratelli d’Italia a stringere una santa alleanza con la Lega di Salvini che Roma, da sempre, guarda se non proprio con distacco sicuramente con diffusa diffidenza, scaricando nel contempo un uomo di destra vera come Francesco Storace che ora può contare anche sull’appoggio dell’ex sindaco Gianni Alemanno? I bene informati, dopo l’apertura di Silvio Berlusconi al movimento di Alfio Marchini passato per il sacrificio dell’ex capo della protezione civile, Guido Bertolaso, affermano che la confluenza di Forza Italia sulla lista civica del bel costruttore romano, perno moderato della città, è stata una mossa indovinata. Una scelta che l’adesione di Storace, garbatamente ignorato da Fatelli d’Italia, rende oggi ancora più forte, complicando non poco il quadro generale del centro-destra capitolino.
I primi sondaggi elettorali sembrano confermare questa analisi sullo sparigliamento delle carte a destra, come a sinistra. Un rimescolamento di ruoli e funzioni che, al ballottaggio, potrebbe favorire Virginia Raggi la candidata del movimento Cinque stelle. Quest’ultima, nelle ultime settimane, a giudizio dei sondaggisti, avrebbe guadagnato ancora terreno attestandosi saldamente intorno al 28% dei voti al primo turno. Chi non convince invece è il candidato Pd, Roberto Giachetti, un renziano di ferro, una candidatura calata dalla direzione del Nazareno, che nella Capitale rischia un clamoroso flop, sia della scarsa empatia che l’uomo suscita negli elettori e e sia per il marcato distacco ideologico che lo tengono lontano dai voti della dissidenza che assegna a Stefano Fassina e alla sua Sinistra italiana un consistente 7,8%, contro il suo modesto 24,7% che gli elettori gli assicurerebbero oggi.
Facendo comunque un pò di conteggi e dando corpo alle alleanze che si presenteranno in occasione della prima consultazione, vediano che il sodalizio Meloni-Salvini non arriva al 18% mentre i cugini destro-moderati, ovvero il trio Marchini (oltre il 10%), Bertolaso con il suo 7,8% e Storace, accredidato di un 3,2% contro il 2% di inizio aprile, toccano e superano, uniti, il 21% dei consensi. Due schieramenti di centro destra, che in assenza di una scelta univoca, malgrado il loro 40% sono destinati a perdere, al primo come al secondo turno.
Alla fine tra i due litiganti, come dicevamo, potrebbe sorridere Virginia Raggi, inesperta e non strutturata quanto si vuole ma sicuramente interprete dell’esigenza di cambiamento, pulizia e riscatto che la Capitale chiede da tempo per uscire da una crisi politica amministrativa che la attanaglia da trent’anni, da quando i partiti principali hanno abbandonato la strada del rispetto delle leggi, delle regole e della correttezza istituzionale per abbracciare quella del consenso pagato con ingiustizie, corruzione e malaffare, come da troppo tempo testimoniano le inchieste giudiziarie.
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