Un giornalismo che non fa sconti a nessuno, che va a spulciare carte ignorate per decenni per tirare fuori verità che i libri di storia hanno volutamente occultato. Era quello che ha sempre fatto Giampaolo Pansa, nato a Casale Monterrato il 1° ottobre 1935 e morto a Roma oggi, giornalista controcorrente per eccellenza.
Un uomo di sinistra che nell’informazione, alla quale ha lavorato per quasi 60 anni, ha cercato sempre la correttezza e l’imparzialità descrivendo fatti e circostanze in maniera cruda in tutta la loro crudeltà. Come nel caso del suo saggio storico più famoso , “Il sangue dei vinti” (due edizioni, la prima nel 2003), che racconta delle esecuzioni e dei crimini durante la guerra civile. Di questa sua fatica letteraria che non fu l’unica – ha avuto come principale interesse la Resistenza italiana, già oggetto della sua tesi di laurea (pubblicata da Laterza nel 1967 con il titolo Guerra partigiana tra Genova e il Po) che ha descritto in innumerevoli romanzi e saggi storici – lo stesso Pansa specificò che era “ gonfio di sangue, di esseri umani citati per nome e per cognome, di morti terribili”. Il libro quando uscì ebbe l’effetto di un detonatore e Pansa fu persino accusato di ‘revisionismo’. Giorgio Bocca in quell’occasione scrisse su di lui parole di fuoco, lo definì “un pazzo, un mascalzone, un falsario, un mentitore”, censurando indignato “Il sangue dei vinti“ come libro “vergognoso di un voltagabbana”.
Giornalista coraggioso, Pansa fu il primo a raccontare gli orrori della guerra civile dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945. E lo fece da storico non professionista. Semplicemente da vero giornalista che, come ogni professionista della cronaca e delle inchieste dovrebbe fare, è sempre alla ricerca della verità e solo quella racconta. Anche quando è scomoda, appunto.
Scrittore, polemista, commentatore, firma dei più importanti quotidiani italiani, dalla Stampa, dove ottenne il suo primo contratto giornalistico, nel 1961, al Giorno, dal Corriere della Sera a Repubblica (di cui è stato vicedirettore) al Messaggero, dall’Espresso – che abbandonò polemicamente nel 2008, il contrasto con la linea editoriale – a Epoca a Panorama, Il Riformista, Libero, Panorama e The Post Internazionale. Giampaolo Pansa, morto all’età di 84 anni, ha raccontato con acume la società e la politica italiana, mettendo alla berlina i vizi della classe dirigente e soprattutto proponendo un punto di vista controcorrente, sempre in grado di stimolare il dibattito e la riflessione. Basti pensare alle polemiche giornalistiche e storiografiche che hanno sempre accompagnato i suoi libri dedicati alla Resistenza (su tutti, come dicevamo prima, Il sangue dei vinti, del 2003). Suoi numerosi scoop, per esempio sullo scandalo Lockeed, ma anche espressioni entrate ella storia come la ‘Balena bianca’, cioè la Democrazia cristiana, o il ‘Bestiario’, titolo di una sua celeberrima rubrica.
Piemontese di Casale Monferrato allievo di Alessandro Galante Garrone, Pansa ha esordito nel giornalismo con la Stampa, occupandosi tra l’altro del disastro del Vajont, per passare alle altre testate giornalistiche su menzionate. Da poco tempo aveva ripreso a collaborare con il Corriere della Sera.
Nel 2001 ha pubblicato Le notti dei fuochi, sulla guerra civile italiana combattuta tra il 1919 e il 1922, ma anche I figli dell’Aquila, racconto della storia di un soldato volontario dell’esercito della Repubblica sociale italiana. Il cosiddetto ‘ciclo dei vinti’, libri dedicati alle violenze compiute dai partigiani nei confronti di fascisti durante e dopo la seconda guerra mondiale inizia con Il sangue dei vinti (vincitore del Premio Cimitile 2005) e segue con Sconosciuto 1945, La Grande Bugia e I vinti non dimenticano (2010).
Nel 2011 Pansa ha firmato Poco o niente. Eravamo poveri. Torneremo poveri, in cui ritrae l’Italia degli umili tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX attraverso la storia dei propri nonni e genitori. E, ancora, La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti ( 2012) e Sangue, sesso e soldi . Una controstoria d’Italia dal 1946 ad oggi.
Provocatore fino all’ultimo, tra i suoi libri più recenti l’autoritratto intitolato Quel fascista di Pansa e poi con un pamphlet su Salvini Ritratto irriverente di un seduttore autoritario, Giampaolo Pansa è morto a Roma assistito dalla sua compagna, la scrittrice Adele Grisendi.
Aveva avuto un solo figlio dal primo matrimonio, Alessandro, ex ad di Finmeccanica morto di malattia nel 2017. Un dolore terribile dal quale Pansa non si era mai ripreso. In una lettera a cuore aperto indirizzata al figlio, appena scomparso, scriveva che la sua scomparsa improvvisa lo aveva «costretto a prendere atto di alcune verità. La prima è che nella vita di tutti giorni accade ciò che di solito avviene quando c’ è una guerra. Che cosa succede in una nazione coinvolta in un conflitto? L’ho visto con i miei occhi di bambino negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale: a morire sono sempre i giovani, mentre gli anziani la scampano. Insomma, la guerra rovescia lo stato naturale delle cose. Ma può accadere così anche se il mondo si trova in pace. Te ne sei andato a 55 anni. Mentre io sono ancora vivo quando ne ho 82».
Alessandra Binazzi
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