Architect Zaha Hadid poses at the opening of her first exhibition in the U.K., at the Design Museum in Shad Thames, in London's Docklands, Thursday, June 28, 2007. Hadid opened her practice in London in 1980. It is only in the last few years that she has seen it really flourish into an international company with nearly 200 employees. Photographer: Graham Barclay/Bloomberg News
Zaha Hadid è morta ieri a Miami per un attacco cardiaco. La regina degli architetti era ricoverata in ospedale per una bronchite. Aveva 65 anni.
“È con grande tristezza che confermiamo la sua morte improvvisa”, recita il comunicato del suo studio londinese, Zaha Hadid Architects, che la definisce “il più grande architetto donna del globo”.
Nel 2004 era stata la prima donna a vincere il Premio Pritzker, considerato il Nobel dell’architettura. Non si contano i riconoscimenti attribuiti alle sue opere: fra gli altri, due Premi Stirling, assegnati dal Royal Institute of British Architects al miglior edificio progettato da un architetto britannico in Europa. Il primo, nel 2010, l’aveva vinto per il MAXXI, il Museo nazionale delle Arti del XXI secolo, realizzato a Roma nell’area di una caserma dismessa in via Guido Reni.
Il Regno Unito, paese di cui aveva assunto la cittadinanza, l’aveva coperta di onorificenze: era stata nominata prima Commendatore, nel 2002, poi Dama di commenda dell’ordine dell’Impero britannico, nel 2012. L’esordio della sua carriera, però, non era stato affatto facile, anche se tutti riconoscevano il suo talento. Nel Regno aveva fatto fatica a trovare commissioni e si era scontrata con le gerarchie scritte e non scritte della professione: clamorosa la bocciatura nel concorso per il Teatro dell’Opera di Cardiff negli anni ’90, quando era già famosa in tutto il mondo. Ma aveva vinto con la forza delle intuizioni e dell’immaginazione. La capitale del Galles si era fatta perdonare anni dopo affidandole il Museo dei Trasporti.
Era arrivata giovane in Gran Bretagna, a 22 anni, dopo aver studiato matematica a Beirut. All’Architectural Association di Londra aveva studiato con Rem Koolhaas ed Elia Zenghelis, ma l’incontro fondamentale per la sua carriera era stato con Peter Rice, l’ingegnere che aveva progettato il Teatro dell’Opera di Sydney. Nel 1980 aveva aperto il suo studio in un edificio di fine Ottocento che prima era stato una scuola, nel quartiere di Clerkenwell.
Le sue creazioni uniscono al rispetto del paesaggio un amore incondizionato per la geometria stravagante, fatta di curve sinuose, spezzate, angoli acuti e prospettive multiple. Sono state chiamate decostruttive, neofuturiste. Gli italiani, oltre al MAXXI di Roma, possono ammirarle nel padiglione Corones del Messner Mountain Museum, l’ultima delle sei sedi sparse per le Alpi del museo voluto dall’alpinista Reinhold Messner. Altri tre progetti che portano la sua firma sono ancora in costruzione: la stazione ferroviaria di Afragola (Napoli), la Stazione Marittima di Salerno e il grattacielo delle assicurazioni Generali a Milano, detto “lo Storto”, nel quartiere CityLife, costruito al posto dell’antica Fiera cittadina.
Appena un paio di mesi fa, il RIBA le aveva assegnato la medaglia d’oro alla carriera. Il premio era stato attribuito ad architetti, ingegneri, archeologi, una volta perfino alla città di Barcellona. Ma mai a una donna, almeno prima di lei. Sir Peter Cook, uno dei decani del Royal Institute, aveva scritto di lei:
Diciamolo chiaramente, avremmo potuto assegnare la medaglia a un personaggio dignitoso, comodo. Non l’abbiamo fatto, abbiamo scelto Zaha: più grande della vita, una personalità straordinaria, spavalda e sempre vigile, pronta. La nostra eroina. Come siamo fortunati ad averla a Londra.
F.M.R.
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