Condanna a morte per quattro degli uomini che hanno partecipato al brutale assassinio di Farkhunda, la 27enne afgana massacrata il 19 marzo scorso da una folla inferocita con la falsa accusa di aver profanato il Corano. Lo ha deciso un giudice afgano, come riferisce l’agenzia Pajhwok.
Uccisa a calci, pugni e bastonate all’ingresso di una moschea di Kabul da una folla inferocita che voleva punirla per aver bruciato diverse copie del Corano. Una morte orribile per Farkhunda, la giovane afghana, affetta da gravi problemi psichici, che in realtà era innocente.
Lo ha rivelato due giorni dopo l’efferato omicidio il generale Mohamad Zahir, capo della polizia investigativa criminale: «Non c’è uno straccio di prova a sostegno delle accuse lanciate alla giovane Farkhunda di aver bruciato il Corano». Le sue parole hanno pesato come un macigno sulla coscienza della società afghana già divisa su questa vicenda. Tredici persone sono state arrestate ed altrettanti poliziotti sono stati sospesi in attesa degli sviluppi dell’indagine. «I colpevoli saranno puniti», aveva promesso Zahir.
E agghiaccianti sono pure le immagini di un video circolato sui social network che mostra i poliziotti che, inerti, non muovono un dito per fermare la rabbia cieca di un centinaio di persone che si accaniscono sulla ragazza fino a farla morire. Non soddisfatti gli aguzzini di Farkhunda hanno poi trascinato il suo cadavere per alcune centinaia di metri per poi abbandonarlo sulle rive del fiume Kabul e darlo alle fiamme. E c’è stato pure chi, come Sharaf Baghlany si è vantato su Facebook di essere tra i carnefici di Farakhanda definendo gli assassini «nobile gente di Kabul».
Il presidente Ashraf Ghani aveva disposto la costituzione di una commissione di indagine di alto livello formata da giuristi, studiosi dell’Islam, esponenti di movimenti femministi e giornalisti. A loro aveva affidato la responsabilità di «indagare sull’incidente in modo appropriato e tenendo presenti le leggi afghane, presentando quindi il suo rapporto al palazzo presidenziale». «Nessuno può trasformarsi in un giudice e punire i cittadini con un comportamento ripugnante e arbitrario contrario alla Legge islamica e alla giustizia», aveva ricordato il presidente Ghani.
Oggi, finalmente, la gravissima vicenda è giunta ad una svolta.
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