Se qualche romano è ancora convinto che Ignazio Marino abbia a cuore la sorte dei suoi concittadini, si sbaglia. Lo prova l’iniziativa annunciata dall’assessore alle Politiche sociali Francesca Danese a margine della presentazione del Rapporto dell’Associazione 21 luglio sui Centri di Raccolta s.p.a.: il buono casa ai rom. “Il buono casa potrebbe essere fruibile anche dai rom – ha detto la Danese -. Non è detto che una persona non possa uscire dai campi trovare lavoro e avere una casa”. Ovviamente c’è bisogno dell’approvazione della Giunta capitolina, ovvero “di un’ulteriore delibera visto che il buono casa era previsto per la fuoriuscita dai residence delle famiglie che vivono al loro interno”, ha aggiunto l’assessore.
Cosa c’entra Marino con una dichiarazione che potrebbe essere solo l’esternazione estemporanea di un suo assessore? Staremo a vedere, perché come poteva immaginarsi la giornata di ieri si è conclusa senza alcuna ulteriore precisazione da parte del Campidoglio. Eppure, il primo cittadino era stato chiamato in causa da un suo collega di partito: “Marino chiarisca subito sui buoni casa ai rom – ha intimato Stefano Pedica -. L’assessore Danese parla a titolo personale o esprime la posizione di tutta la giunta?”, si chiede l’esponente del Pd romano che ricorda come il Campidoglio abbia il dovere di “pensare prima ai cittadini romani”: “Con quale coraggio – si chiede ancora Pedica – l’assessore alle Politiche sociali propone di dare il bonus casa ai rom quando migliaia di romani sono in graduatoria da anni per una casa? Spero che anche in questo caso, come per l’affidamento della raccolta differenziata si rom, si tratti solo di una boutade”.
Intanto dal Rapporto, presentato in Campidoglio dall’Associazione 21 luglio (organizzazione non profit impegnata nella promozione dei diritti delle comunità rom e sinte in Italia,), che analizza i costi dei centri di assistenza abitativa per soli rom a Roma e i percorsi per il loro superamento, riporta delle cifre da capogiro: 8 milioni di euro l’esborso di Roma Capitale per l’accoglienza, ai limiti dell’umano, di 242 famiglie rom. Una spesa media, a nucleo, di 33 mila euro l’anno. Una follia, se si pensa che mediamente una famiglia con 1 ma anche con due appartenenti lavoratori dipendenti, non riesce neanche ad arrivare ai 30mila euro.
Nel Repporto sui centri di assistenza abitativa per soli rom, che oltre ai costi relativi al 2014 propone i percorsi per il loro superamento, si legge:
“Il sistema dell’accoglienza per soli rom a Roma vale 8 milioni, una cifra superiore del 30% rispetto allo scorso anno: è quanto ha speso il Comune di Roma nel 2014 per segregare e violare i diritti umani di 242 famiglie rom nei cosiddetti ‘centri di raccolta rom’ per una spesa annua a famiglia di circa 33mila euro”. Secondo il report, si dimostra la presenza di un “sistema dell’accoglienza per soli rom” parallelo rispetto all’assistenza alloggiativa prevista per i non rom “che continua a muovere denaro dal pubblico al privato senza che nulla cambi per il benessere della città e dei suoi cittadini, rom e non”. Nella Capitale, sempre secondo il rapporto, vi sono attualmente 3 “centri di raccolta”: il Centro di via Salaria, il Best House Rom e il Centro di via Amarilli. Campi nomadi “di ultima generazione, spazi segregati e privi dei requisiti minimi stabiliti dalla normativa regionale”. Circa 900 persone, di cui la metà minori, vivono in situazioni spesso drammatiche caratterizzate da spazi angusti, mancanza di privacy e condizioni igienico-sanitarie precarie, abituati a “un sistema perverso che li priva della dignità e di ogni opportunità di inclusione sociale, relegandoli ai margini della città”. Ai 3 centri si aggiungono 4 strutture – via San Cipirello, via Torre Morena, via Toraldo e l’ex Fiera di Roma – nelle quali risiedono circa 300 rom accolti dopo le proteste seguite agli sgomberi forzati dei loro insediamenti.
Per 7 centri, secondo il rapporto, l’amministrazione di Roma Capitale ha speso nel 2014 8.053.544 euro, il 29% in più rispetto a quanto stanziato l’anno precedente per i centri di raccolta (6.202.869 euro). Della spesa totale impiegata nel 2014, il 90,6% è stato utilizzato per la sola gestione dei centri, il 4% per sicurezza e vigilanza, il 5,4% per la scolarizzazione, mentre “nulla e’ stato destinato all’inclusione sociale dei rom”. Per quasi la totalità, i fondi sono stati assegnati a enti e cooperative tramite affidamento diretto e senza bando pubblico. Al Consorzio Casa della Solidarietà – operante nei centri di via Salaria, via Amarilli, via Torre Morena e nella ex Fiera di Roma, e’ andato il 49,2% delle risorse comunali, seguita dalla Cooperativa Inopera, attiva nel Best House Rom, che ha ricevuto più di 2,5 milioni di euro (pari al 32% del totale). Tra i centri più esosi per le casse comunali primeggia il Best House Romcostato quasi 2,8 milioni di euro nel 2014, cifra più che doppia rispetto al 2013 (+122%), pari a circa 39mila euro all’anno per una singola famiglia. Il centro, situato in via Visso 14, secondo quanto riportato dall’Associazione 21 luglio, risulta privo di finestre e punti luce per il passaggio di aria e luce naturale e presenta stanze in media di 12mq ciascuna dove vivono mediamente 5 persone. Gli altri 2 grandi centri di raccota rom – via Salaria e via Amarilli – sono costati invece rispettivamente circa 2 e 1,4 milioni di euro. Per mantenere una famiglia rom nel centro di via Salaria il Comune di Roma dal 2009 ha speso 231.970 euro mentre nel centro di via Amarilli il costo annuo a famiglia nel 2014 ammonta a 69.723 euro pari a più di 341mila euro a famiglia dal 2010. “La gestione economica dei centri di raccolta rom rappresenta la cartina di tornasole delle politiche sociali rivolte negli ultimi anni ai rom e ai sinti della Capitale: nessuna risorsa è utilizzata per la fuoriuscita attraverso percorsi virtuosi”.
“Il regolamento sui campi rom era già pronto, poi lo abbiamo fatto controllare e verificare da alcuni giuristi pensando che fosse inutile mandare via le persone quando poi la Corte europea le fa rientrare – ha precisato l’assessore alle Politiche sociale, Francesca Danese, a margine della presentazione del Rapporto dell’Associazione 21 luglio sui Centri di Raccolta s.p.a. – Non sarà quindi un regolamento dei campi rom ma dell’accoglienza in tutte le sue forme e sarà applicato in tutte le strutture che accolgono, dai rom ai bambini fino ai minori stranieri, altrimenti potremmo essere accusati di razzismo e xenofobia. Stiamo aspettando la risposta ad alcuni quesiti giuridici, appena la avremo, penso in meno di un mese, potremo portare il regolamento in Giunta e poi in Assemblea capitolina”. Poi la Danese ha informato del fatto che “ci sono molti rom che vogliono tornare in Romania. Per questo stiamo dialogando con il governo romeno e stiamo pensando a un collegamento con imprenditori italiani che sono in Romania per realizzare un’attivita’ di formazione e permettere cosi’ loro di tornare a casa”.
Ma l’idea del regolamento dei campi rom, o dell’accoglienza, -che si aggiunge alle politiche sbagliate e assai onerose del Campidoglio – tra l’altro anche ieri in uno dei campi alle porte della Capitale sono stati beccati altri trenta rom ‘non bisognosi’, ovvero di quelli che secondo gli accertamenti della polizia locale risultano indigenti mentre hanno depositi bancarida centiaia di migliaia di euro – non piace affatto all’opposizione. “Finalmente con le dichiarazioni dell’assessore Danese, l’amministrazione capitolina getta la maschera dopo mesi di chiacchiere e le bugie di Marino vengono a galla. Avevano promesso la chiusura dei campi e invece si stanno preparando a fare un regolamento ad hoc, quindi i campi rimarranno e inoltre vogliono concedere il buono casa anche ai nomadi quando non riescono a darlo neanche ai cittadini romani che ne hanno diritto. Chissà cosa ne pensano i cittadini in graduatoria per una casa o che si trovano in emergenza abitativa”. Lo ha dichiarato, in una lunga nota, Federico Rocca responsabile romano enti locali Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale. “Evidentemente la realtà dei campi nomadi piace e fa comodo a una certa sinistra – sottolinea Rocca – quindi meglio non cambiare nulla e continuare a buttare al vento 30 mln di € all’anno per mantenere in piedi luoghi di degrado, disagio e molto spesso di criminalità. Chiudere i campi sarebbe un bel danno per tutti quelli che ci lavorano e ci guadagnano da oltre 20 anni, togliergli definitivamente come proponiamo noi farebbe venir meno questa ghiotta entrata”.”Noi diciamo basta una volta per tutte a un’esperienza che si è rivelata fallimentare, continuare così è assurdo, per questo – prosegue Rocca – abbiamo presentato una delibera d’iniziativa popolare con la quale chiediamo lo smantellamento definitivo di tutti i campi nomadi e il divieto a crearne dei nuovi. Prevediamo di concedere solo un breve transito a Roma in aree dedicate, peraltro, dietro pagamento di una tassa di stazionamento (come nel resto d’Europa, ndr) per le utenze e dopo tale periodo via, si va in un’altra città, questo è nomadismo. Chi invece decide di risiedere a Roma, dovrà fare lo stesso percorso di tutti gli altri cittadini senza scorciatoie o corsie preferenziali. La delibera che abbiamo presentato rispetta le normative nazionali ed europee, quindi l’assessore Danese poteva anche risparmiarsi di chiedere il parere a qualche illustre giurista per giustificare la loro volontà di mantenere lo status quo, quindi sull’argomento non accettiamo fantasiose rivendicazioni di particolari diritti che non esistono”. “I romani sono esausti – avvisa Rocca – per questo li invitiamo a firmare in massa la nostra proposta di delibera, affinché si ponga definitivamente fine all’esperienza dei campi nomadi e per fermare le folli iniziative che Marino e il Pd capitolino stanno mettendo in piedi sulla pelle dei romani, loro vogliono ancora campi e ora anche il buono casa, questa è la loro ricetta per risolvere il problema”. E i romani esausti sono davvero tanti: meno di uno su due cittadini voterebbe di nuovo per Ignazio Marino. Il quale, dall’alto della sua ‘umiltà’ , non si stupisce ma ha individuato nei cittadini non sostenitori coloro i quali hanno paura del cambiamento “in un momento in cui io sto davvero cambiando la cultura”, ha detto il sindaco. Un cambiamento che preoccupa, perché Roma è “una città un po’ più abituata al medico di famiglia ‘amico’ che ti fa il certificato o al vigile che chiude un occhio” e che invece ora “si trova improvvisamente un’amministrazione che dice ‘no, servono regole perché con le regole vivremo meglio tutti'”. Se lo dice lui…..
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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