Un vaccino contro il morbo di Alzheimer, la più diffusa forma di demenza degli anziani. È quanto promette un team di scienziati della Flinders University di Adelaide, in Australia.
Con la collaborazione di due istituti americani – l’Institute of Molecular Medicine e la University of California – l’équipe australiana ha messo a punto una formula che attacca i resti delle proteine degradate che impediscono la trasmissione degli impulsi nervosi nel cervello di chi è affetto dalla malattia.
Le proteine in questione appartengono a due famiglie: beta-amiloidi (o a-beta) e tau. Come tutte le proteine, le loro molecole sono lunghe catene di aminoacidi. Ma quando queste catene si spezzano, i “pezzi” si legano ai neuroni e interrompono le vie di comunicazione con gli altri neuroni vicini.
“Essenzialmente, quel che succede nelle persone che hanno Alzheimer o demenza è che hanno troppe proteine scomposte nel cervello”, spiega Nikolai Petrovsky, il coordinatore del progetto. “Quello che abbiamo messo a punto è un vaccino che fa sì che il sistema immunitario produca anticorpi” che “si agganciano alle proteine degradate” e le “trascinano fuori” dal cervello.
Sulle proteine a-beta, a quanto emerge dagli esperimenti svolti su animali, il vaccino va somministrato prima che inizino a scomporsi: “Non funziona altrettanto bene una volta che si è sviluppata la malattia”. Ma l’équipe di Petrovsky ha scoperto che “se si prende di mira la tau con il vaccino, di fatto si può invertire lo sviluppo della malattia anche dopo che si è sviluppata”.
La comunità scientifica studia già da anni un modo per impedire ai resti delle proteine di depositarsi nel cervello, ma finora nessun vaccino sperimentale aveva prodotto anticorpi abbastanza potenti nei confronti di entrambe le molecole interessate. Oggi sembra che quel limite sia destinato a cadere. “Abbiamo potuto creare gli stessi tipi di anticorpi, ma a livello fino a mille volte più alti”, scrive Petrovsky su Nature’s Scientific Reports. Salvo ostacoli imprevisti, la sperimentazione sull’uomo inizierà entro due anni: l’obiettivo è ottenere un vaccino utilizzabile entro tre-cinque anni.
“Si potrebbe somministrare a tutti, diciamo quando raggiungono i 50 anni, e immunizzarli prima che insorga la malattia”, ipotizza lo scienziato. Ma non finisce qui: “C’è anche il potenziale di invertire a posteriori alcuni dei suoi sintomi più avanzati”.
La malattia di Alzheimer, che prende il nome dallo psichiatra tedesco che l’ha descritta nel 1906, è all’origine del 60%-70% dei casi di demenza senile. Ogni anno si formulano oltre sette milioni di nuove diagnosi: quasi sempre i pazienti hanno più di 65 anni, ma in quattro o cinque casi su cento sono più giovani. Finora non esistono terapie in grado di arrestarne la progressione.
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