Un farmaco innovativo basato sulla capacità di regolare il tipo di colonie di batteri presenti nell’intestino, potrebbe essere quello che cerchiamo per contrastare l’Alzheimer. Deriva da un estratto di alga bruna, in Cina ne hanno autorizzato il commercio.
Ma gli esperti frenano gli entusiasmi. Secondo Camillo Marra, professore associato di Neurologia all’Università Cattolica di Roma è prematuro dire che sia efficace il “farmaco a base di alga bruna per l’Alzheimer”. I dati raccolti fino ad ora sono limitati a pazienti trattati per breve periodo e non gravi. Mentre nuove strade si aprono sul fronte della genetica con la scoperta di una rara ‘mutazione protettiva’.
L’Alzheimer colpisce circa 48 milioni di persone in tutto il mondo e il numero aumenta di pari passo con l’invecchiamento della popolazione. Il nuovo farmaco, GV-971, approvato per il mercato cinese dalla National Medical Products Administration, è il frutto di 22 anni di ricerca ed è stato approvato sulla base di uno studio clinico di fase 3 condotto su 1.199 persone, della durata di 36 settimane, dal quale è emerso che induce “un miglioramento cognitivo solido e coerente” in pazienti con Alzheimer da lieve a moderato.
Il team guidato da Geng Meiyu, ricercatrice dello Shanghai Institute of Materia Medica Accademia cinese delle Scienze, in un recente studio pubblicato sulla rivista Cell Research, ha analizzato il meccanismo alla base. Usando modelli animali si è scoperto come, durante la progressione dell’Alzheimer, l’alterazione della composizione del microbiota intestinale porti all’accumulo periferico di fenilalanina e isoleucina, stimolando la proliferazione delle cellule proinfiammatorie Th1.
Queste, infiltratesi nel cervello, contribuiscono alla neuroinfiammazione associata al morbo. La molecola GV-971 (sodium oligomannate), sopprime lo squilibrio dei batteri, ‘imbriglia’ la neuroinfiammazione e inverte il deterioramento cognitivo. E’ plausibile, spiega all’ANSA il professor Marra, responsabile della Clinica della Memoria presso la Fondazione Policlinico Gemelli Irccs, “che la molecola abbia un qualche effetto, in quanto sono noti sia il ruolo del microbiota che quello dell’infiammazione nello sviluppo di disturbi cognitivi, ma finora queste terapie testate su pazienti non hanno dimostrato efficacia. I nuovi risultati indicano che la ricerca nel campo non deve essere abbandonata. La rapida approvazione ottenuta in Cina, permetterà, tra qualche anno, di aver dati real world sull’efficacia e sicurezza di questa molecola, che ancora presenta delle incognite da approfondire”.
La ricerca, procede anche sul fronte della genetica, in particolare con studi di resilienza alla malattia, come riporta un lavoro su Nature Medicine. E’ stata isolata, infatti, nel Dna di una donna colombiana una mutazione (APOE3ch) in grado di proteggere dall’Alzheimer benché nel suo cervello fosse presente un accumulo di ‘beta-amiloide’: i sintomi della malattia sono comparsi solo tre decenni dopo.
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