La Giordania si schiera in prima linea nella lotta all’ISIS.
La diffusione del video della brutale esecuzione del pilota giordano Moaz al-Kasasbeh, bruciato vivo dal Califfato, ha provocato sgomento e rabbia in tutto il mondo arabo. Così, dopo giorni in cui avevano criticato timidamente il coinvolgimento delle forze armate del regno, i giordani hanno espresso tutto il loro sdegno in una manifestazione ad al-Karak, la città natale di al-Kasasbeh.
Il desiderio di vendetta nel paese è più forte che mai. Se ne è fatto interprete il padre del pilota ucciso, che in sostanza ha chiesto al re di vendicare suo figlio con un bagno di sangue. Da parte sua, il governo di Amman ha annunciato che la sua reazione farà “tremare la terra” sotto i piedi dei jihadisti. Alla notizia dell’esecuzione di Kasasbeh, il re Abdullah II e il Ministro degli Esteri Nasser Judeh sono tornati precipitosamente da Washington, dove avevano incontrato il presidente Barack Obama e il Segretario di Stato John Kerry. I due capi di Stato hanno firmato un memorandum d’intesa, ora soggetto a ratifica da parte del Congresso, con cui gli USA aumentano della metà la quota di aiuti al regno hashemita; ma non è escluso che in tema di collaborazione strategica, anche alla luce degli ultimi fatti, Washington e Amman non abbiano ancora detto l’ultima parola.
Sappiamo che il governo USA sta preparando una risoluzione vincolante, da far approvare al Consiglio di Sicurezza ONU, che costringa gli Stati a ridurre il flusso di capitali verso l’ISIS, divenuto la massima fonte di sostentamento per i jihadisti: lo ha affermato martedì l’ammiraglio John Kirby, portavoce del Pentagono, presentando alla stampa un dossier che spiega come il Califfato non riesca più a finanziarsi coi proventi del petrolio, ma appoggiandosi a ingenti donazioni e al mercato nero.
In attesa degli aiuti USA, il governo giordano starebbe studiando nuove modalità di intervento contro l’ISIS: un incremento massiccio dei raid aerei, un maggiore coinvolgimento dei servizi segreti o addirittura un intervento delle forze speciali via terra, stando a una fonte governativa anonima citata dall’autorevole quotidiano di proprietà saudita Asharq al-Awsat. Amman potrebbe decidere di intervenire lungo le linee della lealtà tribale, una tradizione indifferente ai confini tra gli Stati che il regno hashemita coltiva da sempre e ha già sfruttato in diverse occasioni. Intanto una fonte vicina ai peshmerga, i combattenti curdi impegnati nella resistenza contro il Califfato, sostiene che l’aviazione giordana avrebbe già sottoposto la città di Mosul a un intenso bombardamento, uccidendo 55 militanti dell’ISIS, tra cui un capo militare noto come Abu Obaida al-Tunisi.
Se le notizie da Mosul non possono essere confermate, è certo che in Giordania sono stati giustiziati due jihadisti iracheni considerati quadri di al-Qaeda, Sajida al-Rishawi e Ziad al-Karbuli. Sajida al-Rishawi era la donna di cui l’ISIS aveva chiesto la liberazione in cambio di al-Kasasbeh e dell’altro prigioniero, il giornalista giapponese Kenji Goto. Una mossa del tutto strumentale, concepita dai vertici del Califfato per assicurarsi il sostegno dei simpatizzanti qaedisti, dato che al momento della richiesta, con ogni probabilità, almeno il pilota giordano era già morto, e Amman lo sapeva o lo sospettava.
Nel frattempo è arrivata un’altra condanna durissima, quella di Ahmed al-Tayyeb, Grande imam di al-Azhar, al Cairo, uno dei più autorevoli centri di interpretazione della legge religiosa di area sunnita. Al-Tayyeb ha definito l’ISIS “un’organizzazione terroristica satanica” e ha auspicato per i suoi militanti la “crocifissione” e l’”amputazione della mano destra e del piede sinistro”: si tratta della pena che il Corano destina ai colpevoli di brigantaggio, reato che il testo sacro islamico classifica fra i più odiosi e imperdonabili.
Filippo M. Ragusa
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